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Claudio Piani in Cina: diario di un maestro vagabondo

Claudio Piani in Cina: diario di un maestro vagabondo

Claudio Piani, milanese di nascita ma cittadino del mondo per scelta, ha trascorso diversi anni in giro per il mondo e per la Cina. La sua vera professione è il viaggiatore, o meglio il maestro vagabondo. Dopo 859 giorni di viaggio e 3 continenti, nel 2017 Claudio decide ancora una volta di rimettersi in gioco e, zaino in spalla, riparte per la Cina per insegnare educazione fisica in una scuola elementare nella periferia di Shenzhen. Claudio ha così l’opportunità di vivere la quotidianità cinese per immergersi e capire ancora meglio la cultura della Terra di Mezzo.

Nel 2014 Claudio decide di mollare tutto: un lavoro da educatore sportivo, amici, la sua Milano, la routine della quotidianità che ,sebbene non gli faccia mancare nulla, nel profondo non lo soddisfa appieno. La soluzione è lì, davanti ai suoi occhi, e arriva durante le sue ferie sull’isola di Cipro: un anno sabbatico in giro per il mondo. Ma quello che Claudio ancora non sa è che quell’anno sabbatico si trasformerà in uno straordinario percorso di vita di oltre 859 giorni su ben 3 continenti per “scoprire la bellezza del mondo declinata nelle sue infinite varietà”.

Ma al rientro in Italia, dopo due anni di vita incredibile, la sua fame di scoperta non è ancora stata saziata. Così, zaino in spalla, sul finire dell’estate del 2017 Claudio sale sull’aereo (almeno all’andata!) per volare a Shenzhen. La Cina lo aveva affascinato sin da subito e allora perché non unire l’utile al dilettevole e “stabilirsi” un anno oltre la Grande Muraglia per insegnare educazione fisica in una scuola elementare alla periferia di Shenzhen.

Claudio in Cina

L’anno di vita in Cina farà scoprire a Claudio le mille bellezze e le tante contraddizioni di una moderna metropoli cinese, regalandogli nuove emozioni e soprattutto i sorrisi dei suoi studenti. Le sue impressioni e le tante avventure sono ora raccolte nel suo ultimo libro Diario di un maestro in Cina.

Chissà cos’altro ha in serbo nello zaino il nostro maestro vagabondo?

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Siamo nell’agosto del 2014. Come tu stesso scrivi nella postfazione dei tuoi libri è il tuo secondo compleanno, l’inizio di questa tua nuova vita. Cosa ti ha spinto a lasciare tutto – abitudini, amici, la sicurezza del lavoro – per iniziare la tua avventura in giro per il mondo?

Credo che i motivi principali che mi hanno spinto a mollare tutto siano stati due: il mio inesauribile desiderio di viaggiare e l’ambizione che nutro di vivere nuove avventure e mettermi costantemente alla prova. All’epoca, avevo già viaggiato molto soprattutto in Europa e Nord America, ma il semplice viaggio da “turista” non mi bastava più. Volevo un’esperienza nuova, più lunga e più profonda, cercando di immergermi in realtà nuove, il più possibile diverse dalla mia. Volevo scoprire il mondo non globalizzato e non “occidentalizzato”. Da lì è nata l’idea di prendere un anno sabbatico e raggiungere l’Australia senza prendere aerei. Mai avrei pensato che l’anno preventivato si sarebbe prolungato di altri sette!

Una domanda a questo punto mi sorge spontanea. Cos’è per te l’incertezza? Va temuta?

Intanto credo che l’essere incerti su qualcosa ti stia già ponendo in una posizione privilegiata perché in qualche modo “puoi scegliere”. Sicuramente è un processo naturale, ma altrettanto scomodo e va affrontato sia con la testa che con il cuore.

Una volta una ragazza olandese conosciuta in Cina, poco prima del mio viaggio in bici dal Tibet all’Italia, mi disse: “Se sei incerto e non sai cosa fare, segui l’istinto!” Da allora faccio così e l’incertezza è diventata più gestibile.

Durante i viaggi o le lunghe permanenze in Paesi e culture diverse ci si può imbattere spesso nella solitudine. La temi? Cosa hai capito di te stando così tanto tempo solo e in contesti culturali e sociali così lontani dal tuo?

Credo che la solitudine in un viaggio come il mio sia un elemento essenziale e forse anche il più prezioso. Stare da soli o accanto a persone che non parlano una lingua comune alla tua ti costringe a pensare e stare di più con te stesso, entrambi elementi che ti spingono a riflettere più intensamente, ad ascoltarti nel profondo. Questo porta a migliorare la comprensione di noi stessi e talvolta, come nel mio caso, ad accettarci di più e a “equilibrarci”.

In più viaggiare da solo, per forza di cose, ti fa immergere molto di più nel Paese e nella cultura che stai visitando. Gli incontri si moltiplicano, le esperienze sono più libere e meno filtrate, e ogni decisione scatena il potere del destino.

Cosa provi alla fine di ogni tuo viaggio?

Alla fine, quando tutte le emozioni sedimentano, scende l’adrenalina e le esperienze iniziano a diventare piacevoli ricordi. Mi sento un privilegiato! Tutti i giorni penso a qualche frammento dei miei viaggi, e tutti i giorni mi sale la pelle d’oca o scende una lacrima di gioia.

Come nasce il tuo rapporto con la Cina?

Il mio rapporto con la Cina nasce nell’autunno 2014 durate il mio viaggio dall’Italia all’Australia via terra con i mezzi pubblici. Arrivavo in Cina dalla Russia senza grosse aspettative e con il solo vero desiderio di vedere la Grande Muraglia. Non potevo immaginare che stava per nascere una storia d’amore. Ti lascio un piccolo pezzo estratto dal mio libro dove racconto proprio i primi mesi:

“Superati i freddi ed inquinati territori del nord, mi ero poi trovato in un contesto molto più vivibile, quasi “inaspettatamente” piacevole. Le regioni del Gansu, del Sichuan e dello Yunnan mi avevano fatto scoprire una Cina completamente diversa da come me l’aspettavo. L’immagine della caotica e soffocata Pechino era stata sostituita da quella della divertente città di Chengdu; lo skyline di Shanghai, con le sue ventisei linee metropolitane, aveva lasciato il posto ai graziosi e tranquilli parchi di Kunming. Osservavo la Cina e non pensavo più al cielo grigio denso di inquinamento ma al verde rigoglioso delle zone confinanti col Tibet.

Nei mesi seguenti, saltando da un bus ad un altro o viaggiando su qualche treno, mi ero ritrovato ad attraversare montagne, altipiani, foreste tropicali, città sovrappopolate, piccoli villaggi rurali e, più mi addentravo nel Paese, più scoprivo una realtà unica, mai così lontana dal mondo occidentale dal quale provenivo”.

Quanti anni avevi quando sei andato in Cina a insegnare?

Mi sono trasferito nel 2017 a trent’anni appena compiuti, esattamente tre anni dopo il mio primo viaggio in Cina. Nel frattempo, l’avevo però riattraversata una seconda volta ma da est ad ovest ed in autostop.

Hai trascorso un anno come insegnante di basket in una scuola elementare nel distretto di Bao’an, sicuramente non un quartiere centrale, “alla moda” o con i tanti lussi e divertimenti che un expat vorrebbe avere. Però, come dici tu stesso, questo è stato per te un valore aggiunto. “Volevo vivere in Asia e volevo farlo nella sua più profonda autenticità”, scrivi in un passaggio nel tuo libro. Che cosa hai capito dell’autenticità, della quotidianità dei cinesi? Francamente, prima di questa esperienza, avevi stereotipi o preconcetti sulla Cina?

Sì, devo confessare che prima di trasferirmi in Cina, nonostante l’avessi già girata parecchio, qualche stereotipo era ancora vivo nella mia visione del Paese.

Dopo qualche settimana, tutti questi preconcetti sono stati azzerati e semplicemente ho scoperto che la Cina, così come mi era stata “raccontata” e “dipinta” in Occidente, non era assolutamente vera. Ho trovato un Paese incredibilmente diverso dal mio, come è normale che sia visto che siamo due culture sviluppatesi a 10.000 chilometri di distanza. Il popolo cinese poi è stato una scoperta meravigliosa e il Paese è ricco di fascino.

In Cina hai già trovato il tuo piatto preferito? O, perché no, quello che proprio non ti andava giù?

Vivere a Shenzhen, una città nuova con molti immigrati da diverse province cinesi, mi dava la possibilità di provare diverse pietanze. Credo che la mia preferita siano i lanzhou lamian delle province del centro e dell’ovest, praticamente spaghetti con carne di manzo. Quello che non mi andava giù…mmm…no tutto buonissimo!

Parliamo invece del tuo lavoro, l’insegnante. Avendo lavorato sia a Milano che a Shenzhen, quali differenze hai notato nella metodologia didattica, e nel rapporto tra insegnanti e alunni?

La scuola italiana e quella cinese sono diametralmente opposte e ci sarebbe così tanto da scrivere che non basterebbe un libro. Sintetizzando credo che il fattore più determinante sia il numero di studenti. In Italia abbiamo classi con 20-25 alunni, in Cina, data la sua popolosità, le classi si aggirano intorno ai 45-50 bambini. Questo ovviamente ha incredibili risvolti sia sulla didattica che sulla metodologia di insegnamento.

Il consistente numero di persone e studenti credo renda la scuola cinese molto più “competitiva”, ma anche più meritocratica di quella italiana, facendo sì che i bambini siano mediamente un po’ più motivati dei nostri.

Da questo ne nasce un rapporto con l’insegnante molto diverso dal nostro. Credo che gli insegnanti in Cina siano molto più rispettati e “supportati” dagli studenti e dalle rispettive famiglie.

Claudio insegnante di basket in Cina
Alunni di Claudio in Cina
In Cina ogni nuovo giorno scolastico inizia con la cerimonia dell’alzabandiera. Una tradizione che per noi è praticamente sconosciuta. Tutto il personale scolastico, docenti e studenti, si fermano per onorare, con ordine e disciplina, la bandiera e ciò che rappresenta. “Era un lunedì mattina e in cortile, insieme a tutti gli studenti e insegnanti della scuola, assistevo all’alzabandiera: duemila bambini in uniforme, con al collo una piccola sciarpetta rosso comunista, marciano in stile militaresco in file perfettamente equidistanti e salutano la bandiera cinese mentre sale verso il cielo, cantando l’inno a squarciagola. Il rito mi fa venire i brividi ogni volta anche se non sono cinese!”(pg 93). Pensi che la scuola, e la società cinese, sia troppo rigidamente organizzata?  

No, non credo sia troppo rigidamente organizzata. Credo sia organizzata semplicemente nel modo più efficace per gestire scuole con duemila bambini e duecento insegnanti, per gestire quartieri che hanno più abitanti di Milano e Firenze messe insieme o città con più abitanti della Lombardia.

La Cina è un Paese incredibilmente sviluppato nelle città ed in forte sviluppo nelle zone rurali e nel contempo deve nutrire ogni giorno un miliardo e mezzo di persone, farle arrivare al lavoro, garantire loro un lavoro e possibilità abitative. Per far funzionare questa incredibile macchina serve una precisa organizzazione, talvolta rigida, soprattutto se vista con occhi esterni.

Suona la campanella, l’anno in Cina è finito. Esperienze, persone, una nuova prospettiva. Cosa ti sei portato a casa dalla Cina? E cosa pensi ti spingerà a ritrovarla di nuovo?

Senza ombra di dubbio l’anno vissuto in Cina è stato uno dei più incredibili e preziosi della mia vita. Le esperienze sono state tantissime e tutte positive, così come gli incontri tra colleghi e con gli abitanti del posto. Mi sono portato a casa tantissime cose, soprattutto ricordi fantastici e momenti di vita preziosi. Ma più che aver preso io qualcosa dalla Cina è la Cina ad aver preso me.

Mi sono innamorato di questo Paese, della sua diversità, della sua cultura, dei suoi controsensi. Vorrei tornarci, vorrei visitare alcune zone che non ho esplorato, vorrei rifarci un’esperienza di vita. Non posso immaginare il mio futuro senza la Cina!

La tua esperienza nel Paese di Mezzo si conclude nel modo più avventuroso possibile: una lunga pedalata dal Tibet a Milano. Hai qualche aneddoto interessante da raccontare? Soprattutto, il tuo viaggio ha alle spalle un’importante iniziativa, ce ne parli?

L’idea di tornare in bicicletta è nata dal quel mio costante desiderio di avventura e voglia di mettermi alla prova. Nel 2014 avevo attraversato l’Asia via terra con i mezzi pubblici, nel 2016, sempre via terra, ma in autostop. Nel 2018, dopo l’anno di lavoro in Cina, volevo una nuova sfida e così decisi di riattraversare l’Asia per la terza volta in bicicletta. In quel momento erano quasi tre anni che vivevo in Asia e sentivo il forte bisogno di restituire qualcosa a questo incredibile continente e alle sue genti, così decisi, parallelamente al viaggio, di aprire una raccolta fondi per un orfanotrofio di Katmandu.

Il viaggio in bicicletta è stata una vera avventura più che un viaggio! Ho impiegato sei mesi per pedalare dal confine nord del Tibet fino all’Italia. Sei mesi nei quali ho attraversato deserti, catene montuose e altipiani. Sei mesi di fatica estrema contro le impervietà di una natura a volte ostile. Ma soprattutto sei mesi di incredibile libertà costantemente superando i miei limiti…

In così tanti Paesi avrai incontrato persone che parlano infinite lingue e dialetti. Quant’è importante saper comunicare? E come riuscivi a farti capire da così tante persone?

Comunicare è ovviamente importante sia per viaggiare e anche per conoscere meglio le culture con cui si entra in contatto. Ovvio che viaggiare da soli o in un Paese dove non si condivide una lingua comune fa sì che la comunicazione verbale sia pressoché assente. Però, proprio l’assenza del linguaggio verbale ti fa riscoprire quello non verbale, ricordandoti che c’è un linguaggio “quasi animalesco” che accomuna tutti gli esseri umani, qualunque sia la propria, etnia, religione o locazione geografica.

Un sorriso è percepito ugualmente in Italia come in Cina, Mongolia o Iran. Essere gentili e ben disposti è compreso ad ogni latitudine del mondo. Proprio questo linguaggio ci può far connettere con chiunque!

Da expat, dopo un anno in Cina e oltre 1000 giorni di viaggio tra Australia, Asia e Europa, cosa hai capito di casa tua, dell’Italia?

Che comunque rimane il Paese più bello del mondo!

Stai già pensando al prossimo viaggio?

Sì, certo! Lo scorso autunno ho viaggiato molto in Europa pedalando verso ovest, da Milano alla costa atlantica del Portogallo! Proprio adesso, mentre finisco quest’intervista, sono in Messico pronto per una nuova avventura alla scoperta del Centro America!

Buon viaggio一路顺风 (yīlùshùnfēng)

Per viaggiare insieme a Claudio puoi leggere uno dei suoi libri 📚 e seguire le sue avventure sul suo canale Instagram e Facebook 🗺️



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