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La BRI: un game changer nel posizionamento internazionale dell’Italia?

La BRI: un game changer nel posizionamento internazionale dell’Italia?

Bri: posizionamento internazionale dell'Italia

Che cos’è la BRI e come influisce sul posizionamento geografico dell’Italia?

La BRI, ovvero la Belt and Road Initiative, ha nell’Italia l’approdo storico e geograficamente naturale della sua via marittima. Per questo motivo, un’assoluta centralità assume il settore della logistica. In particolare, quello dei porti quali strumenti per permettere una rapida diffusione delle merci cinesi nell’intera Europa continentale.

Il ruolo chiave dei porti italiani

Pechino si è assicurata dal 2016 una presenza diretta nel panorama logistico ligure, attraverso una partecipazione del 49,9% nel container terminal di Vado Ligure (40% attraverso COSCO Shipping e 9,9% in capo al Porto di Qingdao), dove si sta costruendo una nuova piattaforma che sarà operativa per la fine del 2019. Ulteriore interesse è stato dimostrato per le infrastrutture portuali di Genova e Savona. Con la recente visita di esponenti del Porto di Qingdao, si apre la possibilità di un accordo di cooperazione con la Chinese Communications Construction Company (CCCC).

Sul versante adriatico, esiste da tempo un’intensa cooperazione con Pechino. Trieste fa parte del progetto Trihub, nell’ambito di un accordo quadro tra UE e Cina per promuovere reciproci investimenti infrastrutturali. La China Merchants Group potrebbe realizzare nuovi investimenti nel porto triestino. Il gigante CCCC intende invece impegnarsi con un’ingente esposizione finanziaria (pari a circa 1,3 miliardi di euro) nella realizzazione di una banchina alti fondali nel porto di Venezia. Sempre nell’Adriatico, nel 2018 la China Merchant Group ha investito 10 milioni di euro nel porto di Ravenna con l’obiettivo di rendere la città bizantina l’hub europeo dell’ingegneria navale.

L’Italia come partner strategico per la Cina?

La presenza di Pechino all’interno del tessuto economico dell’Italia – seconda manifattura europea – si è costantemente rafforzata nel corso dell’ultimo decennio, con l’ingresso nell’azionariato di aziende strategiche del Paese quali Fca, Telecom Italia, Enel, Generali, Ansaldo Energia e Cdp Reti. L’operazione di maggior rilievo risale al 2015, quando è stata acquisita Pirelli da parte di China National Chemical. L’Italia risulta la terza destinazione di IDE nell’UE, con 15,3 miliardi di euro nel periodo 2000-2018.

La svolta nei rapporti tra Cina e Italia può essere rintracciata nell’ingresso di Roma nell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) nel 2015 (insieme anche a Germania e Francia) con una quota del 2,66%. Tale partnership è rafforzata da un’intesa su un precedente Memorandum of Understanding per la cooperazione in Paesi terzi negoziato dal Sottosegretario Michele Geraci nel settembre 2018. È recentemente seguita un’analoga disposizione nella bozza di accordo dell’attuale MoU.

Posizionamento dell’Italia: opportunità e sfide della BRI

Per Roma si pongono opportunità e sfide. Da un lato, nuovi investimenti cinesi garantirebbero una spinta per uscire dalla stagnazione dell’economia nazionale e un possibile accesso preferenziale al mercato cinese, grazie al rafforzamento del corridoio infrastrutturale e un possibile aumento dell’export. Il nuovo accordo strategico, inoltre, potrebbe favorire una maggiore cooperazione in diversi ambiti con mutui benefici ad entrambe le parti. Ad esempio, un rapporto più intenso potrebbe creare le condizioni per aumentare il flusso del turismo cinese in Italia.

D’altro canto le criticità sono numerose. La Cina non è ancora considerata un’economia di mercato a causa dell’attività di dumping praticata sulla vendita di alcuni prodotti all’estero. Pechino spesso opera in regime di non reciprocità nel campo commerciale e nel quadro degli investimenti; utilizza standard differenti dal quadro occidentale e pratica forme di discriminazione all’ingresso di operatori stranieri nel proprio mercato.

Va però ricordato che lo scorso 15 marzo Pechino ha approvato una nuova legge sugli investimenti diretti esteri, operativa dal gennaio 2020. Tra gli obiettivi: tentare di garantire un level playing fieldaprire maggiormente il Paese ai capitali stranieri e fornire maggiori elementi di sicurezza per gli investitori internazionali. In primo luogo, la nuova legge eliminerà l’obbligo di trasferire tecnologia per poter accedere al mercato cinese; e ci saranno maggiori sanzioni per violazioni dei brevetti e con un’estensione della validità degli stessi da 10 a 15 anni. Secondo, la legge prevede che gli investitori stranieri godano di eguale trattamento e accesso al mercato rispetto ai loro competitor cinesi. Questo comunque ad esclusione di quei settori che afferiscono ad una blacklist. Quest’ultima, aggiornata a dicembre 2018, illustra dettagliatamente i campi soggetti a limitazioni o proibizioni totali.

Quali sono i rischi?

Per il momento i rischi che Roma corre sono diversi. In primis, la condivisione di elementi sensibili del proprio patrimonio industriale e tecnologico con un attore che sembra non poter ancora garantire condizioni adeguate di reciprocità. In secondo luogo, date le attuali condizioni di finanza pubblica, l’Italia deve fare un’attenta analisi della definizione, realizzazione e gestione degli eventuali progetti sul territorio nazionale, nonché delle modalità di finanziamento.

Permane dunque centrale, nel nuovo corso delle relazioni geo-economiche di Roma, uno stretto coordinamento con le autorità e i partner europei. L’interesse nazionale a una diversificazione dei propri rapporti economici deve perciò essere perseguito nel rispetto degli standard e delle normative europee, nonché in aderenza ai valori condivisi nel quadro delle storiche alleanze occidentali.

Particolarmente acceso è stato ed è tuttora il dibattito sulla possibile apertura italiana agli investimenti cinesi in settori strategici. In particolare, sulle nuove tecnologie 5G si potrebbe aprire una divergenza di visioni e interessi strategici con gli alleati storici, soprattutto gli Stati Uniti. È auspicabile un’attenta valutazione delle conseguenze politiche di taluni progetti, al di là della loro convenienza economica interna. L’Italia, in definitiva, può alzare la posta in gioco, riservandosi un posizionamento con il ruolo di attore attivo e non mero esecutore all’interno della BRI.



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Articolo di Alessia Amighini, Giulia Sciorati e Alessandro Gili originariamente pubblicato il 21/03/2019 qui.

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