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Adriano e il suo grande enigma, la Cina

Adriano e il suo grande enigma, la Cina

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Che cos’è la Cina se non un grande enigma? Un lungo salto, un gioco proibito che conquista e affascina per la sua indecifrabilità apparente. Lo sa bene il giornalista e sinologo Adriano Màdaro che in oltre 40 anni e 216 viaggi ha testimoniato in presa diretta le trasformazioni e le contraddizioni del Drago.

Sebbene non il solo, non c’è dubbio che Adriano Màdaro sia uno dei più accaniti e appassionati scopritori del Paese di Mezzo. Veneto doc (sì, proprio come Marco Polo) Adriano cresce, studia, sogna desiderando il momento dell’incontro tanto atteso. Finalmente per lui la “cortina di bambù” cade nell’aprile 1976 mentre la Cina viveva gli ultimi sospiri dell’era di Mao Zedong.

Da quel lontano giorno di metà primavera la Cina è andata incontro a enormi trasformazioni, cambiando tutto ma rimanendo sempre quel grande enigma che affascina da millenni. In oltre 40 anni e 216 viaggi, Adriano ha avuto l’occasione (e la fortuna) di vivere e respirare le grandi trasformazioni, i grandi sogni e progetti che hanno smosso il Paese facendolo diventare quello che è ora. Con tutte le sue contraddizioni. Come pezzi di un puzzle, viaggio dopo viaggio, incontro dopo incontro, Adriano ha cercato di trovare la sua via per sciogliere l’enigma e capire cosa è stato e dove sta andando il Dragone. Le sue riflessioni ed esperienze personali sono state trasportate nel suo ultimo lavoro letterario, Capire la Cina, pubblicato nel febbraio 2021 da Scrittori Giunti Editore.

Adriano e il suo enigma
Adriano nella sua amata Pechino, inverno 2015
早上好!Gentile Adriano che piacere parlare con lei. Un uomo, un viaggiatore e grande conoscitore della Cina che, con sguardo attento e critico, ha testimoniato in presa diretta gli enormi cambiamenti che il Paese di Mezzo ha vissuto e che sono tutt’altro che finiti! Lei si è laureato con una tesi sulla rivoluzione cinese e ha messo piede in Cina per la prima volta nel 1976. Rispetto a oggi, in quegli anni le informazioni sulla Cina scarseggiavano, cosa l’ha spinta a studiare un Paese così lontano e misterioso? Cosa ci ha visto?

Proprio l’ignoranza generalizzata su quel Paese mi ha fortemente incuriosito fin da ragazzo e mi ha spinto a indagare, a cercare, a capire cosa rappresentasse la Cina di così proibito. Trovavo incredibile che una parte così vasta e importante del globo non fosse per nulla conosciuta, quasi un pianeta per conto suo, estraneo al resto del mondo. Un vero e proprio enigma!

Così ho deciso di conoscerla, orientando i miei studi universitari alla sua “scoperta”. Finché poi nella primavera 1976 sono riuscito a varcare la “cortina di bambù” iniziando una lunga serie di viaggi, fino ad oggi in totale 216.

Fin dall’inizio avevo intuito che alla fine la Cina sarebbe “venuta fuori”, sarebbe esplosa nelle sue potenzialità in parte ancora inespresse per scelte politiche di quei tempi. Insomma per dirla in breve, più studiavo e viaggiavo e più mi convincevo che la Cina sarebbe diventata la potenza del XXI secolo.

Cosa ha pensato la sua famiglia quando ha deciso di studiare la Cina? Erano preoccupati per il suo primo viaggio?    

La mia famiglia è stata in gran parte coinvolta dalla mia passione, dalla mia voglia di capire. Insomma è vissuta anch’essa a “pane e Cina”, spesso e volentieri viaggiando con me. Nel 1986 affrontai il viaggio, con moglie e due figlie ancora in giovane età, tutto in treno con la Transiberiana: un’avventura indimenticabile! Ma lei mi chiede di prima, di quando ero ragazzo; quando un bel giorno dissi a mia madre che avevo trovato un “passaggio” su una nave da carico per i Paesi del Golfo Persico e l’India nella speranza di trovare una via per entrare in Cina. Mia madre anche se preoccupata non fece una piega, anzi mi disse che ero fortunato.

Ci racconti della Cina dei suoi primi viaggi e delle riforme, fine anni Settanta e anni Ottanta. Qual è il ricordo più bello che si porta dietro di quegli anni? Che atmosfera c’era?

La Cina dei miei primi viaggi era quella di Mao, all’orizzonte c’erano ancora i bagliori della Rivoluzione Culturale (文化大革命, wénhuà dà gémìng), quella follia collettiva che causò perdite e sofferenze a tutto il popolo cinese. Eppure quel colossale elettroshock ha causato, per reazione, il “risveglio” del Paese: l’inizio dell’era delle Riforme (改革开放, gǎigé kāifàng), la “scoperta” del mondo e soprattutto dello sbalorditivo successo economico e scientifico che la Cina avrebbe espresso nell’arco di tempo tra l’ultimo ventennio dello scorso secolo e il primo ventennio di quello presente. È l’arco dei 40 anni prodigiosi dei quali sono stato assiduo testimone. Ho assistito all’entusiasmo di modernizzare un Paese e all’ambizione di guadagnare la prima fila sul palcoscenico mondiale.

Se pensiamo a quegli anni ci sembra completamente un altro mondo. Che cos’è per lei la Cina oggi? Dove sta andando?

In effetti rispetto a 30-40 anni fa la Cina (non tutta) è radicalmente cambiata, almeno nel suo aspetto esteriore. Le città competono con le metropoli più moderne del pianeta; le grandi opere sono il vanto della tecnica più moderna: 35.000 km di ferrovie ad alta velocità, centinaia di aeroporti avveniristici, la più grande e moderna rete autostradale al mondo; il migliore arredo urbano che si possa immaginare; il sostanziale benessere della popolazione; l’eliminazione  della povertà totale, un successo senza pari avvenuto con dieci anni di anticipo rispetto all’agenda delle Nazioni Unite.

Dove sta andando la Cina? Ha ancora molto da sistemare al suo interno: la modernizzazione dell’agricoltura è ancora lontana; le tensioni sociali e politiche con alcune minoranze (tibetani e uiguri, e parte della popolazione della stessa Hong Kong) sono lungi dall’essere appianate, anche a causa del “disturbo” organizzato dagli Stati Uniti attraverso le centrali del loro controspionaggio, al terrorismo islamico, alle manifestazioni teppistiche e insurrezionali che premono sul separatismo.

Comunque, per me la Cina è e resta il Paese che mi ha dato di più, mi ha restituito moltiplicata la mia disponibilità a capire e a volerle bene come una seconda patria. Perché più si conosce e si capisce, più si condivide e si apprezza!

Da un punto di vista geopolitico, con Biden alla Casa Bianca e un rinnovato atlantismo (almeno a parole), crede che la Cina sia “in difficoltà” e più sola?

L’accerchiamento voluto da Biden, e condiviso dalle “democrazie” occidentali del G7, non porterà a nulla di buono. Questo è il tempo della pace, della collaborazione, dello scambio di idee ed esperienze, il tempo di aiutare i Paesi poveri a uscire da una vita condannata.

E invece no: siccome la Cina è riuscita a debellare la povertà e in un quarantennio, da sola, a diventare la Potenza numero due, ma forse già numero uno, allora ecco la sua demonizzazione a opera dell’Occidente. La “dottrina Biden”, fatta di minacce, di riarmo, di creare a tutti i costi un nemico da abbattere, non mette in difficoltà la Cina, bensì l’Europa che appare costretta a indossare la camicia a stelle e strisce o, peggio, la tuta mimetica.

A suo avviso, Pechino e Washington possono trovare un modo per migliorare e armonizzare il loro rapporto o, al contrario, è destinato a deteriorarsi ancora di più?

Pechino non ha interesse a contrastare Washington. Lo ha detto e ribadito che è per la cooperazione pur nella competizione, ma se alla fine gli Stati Uniti dovessero scegliere la guerra, la Cina la affronterà ad armi pari, o forse superiori. Il loro rapporto non è mai caduto così in basso come in questo inizio d’autunno 2021, ma non è detto che debba peggiorare. Basterà poco per migliorarlo e mantenerlo in uno standby perfino accettabile, ma nella latenza di un conflitto possibile, soprattutto per Taiwan e il Mar Cinese Meridionale.

Non c’è dubbio che stiamo entrando in una nuova stagione delle relazioni internazionali. Per molti la Cina non è più quel paese “facile” e pieno di opportunità, ma una società complessa e con molte contraddizioni. In molti casi si ha la sensazione che l’opinione pubblica italiana sia divisa in due squadre: gli amici della Cina e chi invece ne è spaventato o la percepisce come qualcosa di negativo. Ecco, in tale contesto, qual è il compito del sinologo? Lei che responsabilità sente di avere?

La Cina è ancora il Paese delle opportunità, non solo per l’Occidente, ma soprattutto per il cosiddetto “terzo mondo”, per i paesi poveri dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina. Sono questi i futuri campi di battaglia dove si confronteranno le democrazie ricche con le autarchie povere e pericolosamente rancorose verso il mondo grasso.

L’Italia è sempre in bilico, pur essendo bene avvitata nel Patto Atlantico, è individualista nella rincorsa agli affari. La Cina per le nostre aziende rappresenta un business di grandi numeri (quest’anno il 75 % dell’export è verso la Cina). Potremmo essere i primi in Europa, ma rispetto a Parigi e Berlino l’obbedienza a Washington è per le nostre imprese un handicap non da poco. L’opinione pubblica italiana è molto divisa sulla Cina, vive il problema con eccessiva emotività, e ciò è dovuto all’ignoranza. Gli italiani nei confronti della Cina sono stabilmente ignoranti, carichi di pregiudizi, pervasi da profonde venature razziste. Sono anche i meno informati, o peggio informati.

E ciò per un’informazione scorretta, spesso faziosa, quasi sempre orientata a favore di una parte, gli Stati Uniti. Vi sarà una ragione perché nella classifica della libertà di stampa l’Italia è al 77°posto, addirittura dopo il Burkina Faso.

Ci vorrebbe una chiamata di responsabilità da parte di tutti i sinologi italiani, dagli studiosi della politica, dell’economia e della cultura cinese, di tutto ciò che riguarda la Cina. Una chiamata di responsabilità affinché intervengano nel grande dibattito, non Cina sì, Cina no, ma per intraprendere una coraggiosa azione di rettifica e, quando serve, di contrasto di fronte a questa umiliante campagna di bullizzazione della Cina. I sinologi, a tutti i livelli, hanno una responsabilità epocale. La Dottrina Biden è una dichiarata operazione politica contro un Paese che noi ben conosciamo e talvolta amiamo.

Però la storia cinese è ricca di celebri personaggi italiani: Marco Polo, Matteo Ricci, Giuseppe Castiglione, tanto per citare i più conosciuti. Tutte personalità illustri che sono riusciti a ottenere il rispetto e l’ammirazione della classe dirigente imperiale. Proprio su questo nel suo libro lei scrive: “quello tra la Cina e l’Italia è stato, da sempre, un rapporto di buonissimo lontanato. Il migliore che la Cina ricordi e quello di più lunga durata”. Cosa intende dire? Crede quindi che l’Italia sia (e forse debba pretendere di essere) l’interlocutore privilegiato di Pechino? Il nostro Paese può avere questa forza solo per ragioni storiche? 

Con la Cina l’Italia ha un primato unico e irripetibile. Non solo storico, ma culturale, scientifico, artistico, filosofico, religioso. Nessun Paese al mondo può vantare di avere questo nostro vantaggio. L’Italia dovrebbe essere l’interlocutore privilegiato con la Cina, anche a nome dell’Europa intera e dell’Occidente nel suo insieme. Invece l’Italia proprio in questi ultimi mesi sembra aver abdicato al suo ruolo naturale di “pontiere” tra Est e Ovest, rinunciando alla sua naturale predisposizione alla diplomazia.

La ruvida “dottrina Biden” ha trovato nell’Italia una sponda soffice e arrendevole, priva di quella “visione” che oggi è tanto necessaria. Come italiano mi sento umiliato per la politica obbediente del nostro governo: dal professor Draghi mi aspettavo un forte distinguo; dagli altri invece il servilismo più prono. Eppure si può essere “atlantisti” senza dar via l’anima. La dignità è merce sempre più rara.

Parliamo della sua ultima fatica letteraria: Capire la Cina. Perché ha deciso di scrivere questo libro?

Il mio libro Capire la Cina è il lavoro di una vita e vi sono narrate le storie e le cronache che fin dall’epoca dei Romani avevano collocato la Cina in un luogo desiderato. Passano di pagina in pagina le carovane della conoscenza tra i due mondi, la ricerca e gli incontri di regni amici, la curiosità di costumi diversi, il piacere della scoperta e l’utilità degli scambi, finché si giunge alla rottura fatale. Da una parte la Cina tetragona ma ricca di ogni cosa, dall’altra l’Occidente rapace alla ricerca di quelle ricchezze da “comprare” con l’oppio. E poi le guerre, le invasioni, le mutilazioni territoriali, il colonialismo, la rivoluzione, la chiusura, le riforme, la riconquistata potenza.

L’ultima fatica letteraria di Adriano. Capire la Cina, Scrittori Giunti Editore

Il libro risulta un affresco di cosa è stata in passato, cosa è oggi, cosa potrà essere domani la Cina. Uno strumento per chi vuole capire, vuole andare oltre dopo avere conosciuto le radici di una storia appassionante come un romanzo.

Guardiamo al futuro. Se la memoria non mi inganna lei adesso sta lavorando a un nuovo progetto intitolato Pechino capitale del Celeste Impero. Di cosa si tratta?

Si tratta di una mia passeggiata immaginaria dentro uno scenario vero, ricostruito minuziosamente come un puzzle nel “paesaggio” che si può riprendere da una mappa della Pechino imperiale tra fine Settecento e inizio Ottocento. Seguendo i tracciati stradali dell’epoca ho rivisitato la straordinaria impalcatura urbana della capitale del Celeste Impero con la sua monumentalità e la vita che accoglieva dentro le sue mura. Un “viaggio” alla ricerca dell’antica città e del suo popolo, partendo dal trono della Città Proibita: costumi, cerimonie, usanze, feste, tradizioni, gesti quotidiani, il tutto illustrato con piante e incisioni d’epoca.

谢谢老马!

Ringrazio Adriano per la disponibilità a usare alcune delle sue foto e ricordo che qualsiasi loro utilizzo deve essere approvato dallo stesso Adriano Màdaro.



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