Cina e Taiwan: un podio difficile da condividere a Tokyo 2020
È un’estate particolarmente calda tra Pechino e Taipei: dopo la rottura diplomatica cinese con la Lituania per aver acconsentito all’uso della parola “Taiwan” nel nome di un nuovo ufficio di rappresentanza taiwanese a Vilnius, la Cina non esita a mettere in guardia l’isola sulla volatilità della protezione statunitense. L’escalation di tensione estiva tra i due paesi non ha risparmiato l’agone sportivo più importante e atteso degli ultimi anni: i Giochi Olimpici di Tokyo 2020.
SOMMARIO
- Cina, Chinese Taipei e Hong Kong: a Tokyo 2020: sono tre le squadre cinesi a competere per il podio
- Cina e Comitato Olimpico Internazionale: un rapporto complicato
- “Chinese Taipei” o “Taiwan”: una differenza sostanziale
- Conclusione
Cina, Chinese Taipei e Hong Kong: a Tokyo 2020 sono tre le squadre cinesi a competere per il podio
Sono tre le delegazioni di atleti cinesi in gara a Tokyo 2020, rispecchiando una conformazione che va avanti dagli anni ’80. La Repubblica Popolare, con una squadra numerosa e particolarmente agguerrita nella conquista al medagliere, è l’unica che si può definire “Cina”. Sale sul podio con il suo inno nazionale e la sua bandiera a partire dal 1952.
Taiwan, il cui nome ufficiale è “Repubblica di Cina”, dal 1949 è considerata dal governo di Pechino una provincia ribelle da riannettere, facente parte a tutti gli effetti di un’unica Cina. Alle Olimpiadi è costretta a chiamarsi “Chinese Taipei”. In aggiunta all’ambigua denominazione, non può issare la sua bandiera né cantare il suo inno, ma ha una particolare bandiera olimpica e un inno creato ad hoc per il podio.
Hong Kong, infine, è Cina a tutti gli effetti (e a qualsiasi costo, verrebbe da aggiungere), ma non lo era fino a pochi decenni fa: ad oggi, la delegazione di “Hong Kong China” porta la bandiera della città, e non quella rossa a cinque stelle cinese, l’inno in caso di medaglia d’oro, però, è la Marcia dei Volontari della RPC.
Le tre squadre così regolamentate, a rappresentanza di tutto il popolo cinese, sono frutto di un accordo proposto dal Comitato Olimpico Internazionale e raggiunto nel 1981, la cosiddetta Risoluzione di Nagoya. Prima di allora, la coesistenza di Pechino, Taipei e Hong Kong ai Giochi è stata ben più travagliata e problematica.
Cina e Comitato Olimpico Internazionale: un rapporto complicato
In una prima fase, dal 1932 al 1948, la Cina ha gareggiato con un’unica squadra olimpica, sotto il nome di “Republic of China”. Il primo atleta a rappresentarla, alla decima edizione dei Giochi a Helsinki (1952), fu lo sprinter Liu Changchun, dopo essersi rifiutato di partecipare in nome dello stato fantoccio del Manciukuò, governato de facto dal Giappone.
Con la fondazione della Repubblica Popolare nel 1949, si apre un’annosa fase di competizione tra Pechino e Taipei per il riconoscimento di uno solo dei due paesi come unico legittimo rappresentante della Cina. La rivalità investe anche i Giochi, che vengono regolarmente boicottati dall’una o dall’altra parte. Per vent’anni, dal 1956 al 1976, sarà Taiwan, con il nome di “Repubblica di Cina” a gareggiare a discapito della RPC, che boicotterà regolarmente l’evento.
Nel 1972, il rapporto Cina-Taiwan con il mondo si evolve in favore della RPC su molti piani internazionali. Taiwan come “Repubblica di Cina” verrà scalzata anche dai Giochi del 1976. Invitata a partecipare semplicemente come “Taiwan”, decide di non presenziare, dopo vent’anni di rappresentanza olimpica.
La Risoluzione di Nagoya del 1981 definisce lo status quo attuale, assegnando a Taiwan il nome olimpionico di “Chinese Taipei”, largamente accettato per quarant’anni e non messo in discussione fino a Tokyo 2020.
“Chinese Taipei” o “Taiwan”: una differenza sostanziale
Simboli e cerimoniale olimpici sono così un affare molto delicato nel precario equilibrio tra Pechino e Taipei. Infatti, quest’anno, sono bastati alcuni riferimenti alla squadra di Formosa come “Taiwan”, invece che “Chinese Taipei”, per scatenare le rimostranze di Pechino.
Con 12 medaglie ottenute, la squadra di Taipei ha segnato un record per il paese, aggiudicandosi la migliore performance olimpica di sempre. I commenti non si sono fatti attendere. La Presidente Tsai Ing-wen si è congratulata con gli atleti usando l’hashtag #TeamTaiwan, mentre all’apertura dei Giochi aveva dichiarato: “Non importa quanto grande sarà la sfida, nulla impedirà a Taiwan di avere il suo posto nel mondo”. Non si è fatta attendere la replica del governo di Pechino, che ha definito “dirty tricks” i tentativi di rilanciare l’indipendenza di Taiwan attraverso l’evento sportivo.
Carichi dall’oro conquistato proprio contro la squadra cinese nella finale di badminton, gli atleti Taiwanesi Wang Chi-lin e Lee Yang hanno ribadito il concetto. Il primo ha postato su Facebook: “I am Wang Chi-lin. I am from Taiwan” seguito da una striscia di bandiere Taiwanesi; il secondo ha voluto invece dedicare la medaglia “al mio paese, Taiwan”. È arrivato, poco dopo, il post di congratulazioni dell’atleta cinese sconfitto, Li Jinhui: “Lastly, congratulations to our Chinese Taipei Team”, seguito, come si conviene, dalla bandiera cinese.
Nella bagarre sono intervenuti anche attori esterni ai due paesi: la BBC ha commentato, in un articolo pubblicato sul suo sito cinese, che Taiwan è uno dei tre paesi, insieme alla Russia e alla squadra degli Atleti Olimpici Rifugiati, che non può presentarsi con il suo nome, dovendo ricorrere all’inusuale appellativo di “Chinese Taipei”. La Cina ha risposto attraverso una dichiarazione dalla sua ambasciata a Londra opponendosi e condannando l’articolo della BBC come “unprofessional and severely misleading”.
Conclusione
Fin dalla nascita dei moderni Giochi Olimpici nel 1896, questo evento sportivo è molto più di una gara tra atleti da tutto il mondo. La politica internazionale si gioca anche su questo grande palcoscenico. E quella che potrebbe sembrare una superficiale “questione di nomi” tra Pechino e Taipei è invece una differenza sostanziale. È già emersa la possibilità di indire un referendum a Taiwan per cambiare il nome della delegazione olimpica in vista della prossima edizione di Parigi. Non resta che aspettare il 2024 e, forse, ciò che sarà scritto sulla divisa degli atleti, ci dirà qualcosa in più sul complicato rapporto tra Cina e Taiwan.
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Fonti
Laureata in lingua cinese e management presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, sono appassionata di popolazione e società. Se studiare mandarino è una sfida continua, vivere in Cina e poter interagire con i suoi abitanti è una scoperta quotidiana. Anche di me stessa.