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La crisi dello shipping due anni dopo: a che punto siamo?

La crisi dello shipping due anni dopo: a che punto siamo?

la crisi dello shipping

Il rincaro dei noli sui container, i ritardi nei tempi di percorrenza, la difficoltà di prenotare spazio sulle navi e le congestioni nei porti non sono un’eccezione da ormai due anni. Dopo un primo approfondimento sulla crisi dello shipping, Bridging China torna sul tema per capire a che punto siamo oggi.

SOMMARIO

La situazione attuale dello shipping

“Making it easier and less costly to move goods across seas and borders is critical to ensuring a sustainable and inclusive recovery”. Con queste parole Rebeca Grynspan (Segretario Generale UNCTAD), interpellava gli attori chiamati a facilitare il commercio internazionale durante il Global Forum indetto dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD) a Febbraio 2022. L’urgenza, infatti, è normalizzare gli scambi commerciali marittimi, che costituiscono l’80% dei flussi di merci a livello mondiale.

Il Review of Maritime Transport pubblicato proprio da UNCTAD alla fine del 2021, fotografa una situazione ancora emergenziale del mondo dello shipping. L’attuale crisi dei trasporti, connessa alla crisi delle produzioni e del reperimento delle materie prime è stata innescata da uno squilibrio tra offerta e domanda non ancora assorbito, a più di due anni dallo scoppio della pandemia.

Nonostante le difficoltà, il Report evidenzia che nel corso del 2021 il commercio marittimo si è ripreso dallo shock iniziale. Anche grazie al progressivo contenimento del contagio e alle vaccinazioni, l’anno scorso, il commercio marittimo è cresciuto del 4.3%, mentre si prevede che dal 2022 al 2026 continuerà a crescere annualmente del 2.4%.

Nel 2021, il commercio marittimo è cresciuto del 4.3%, dopo una contrazione del 3.8% del 2020. (UNCTAD)

All’origine della crisi: un breve recap

All’inizio del 2020, lo stop alle produzioni in Cina causato dalla prima diffusione del virus, è stato seguito da un’improvvisa interruzione degli ordini da parte dei paesi occidentali, entrati in lockdown pochi mesi dopo. Il successivo espandersi della pandemia in tutto il mondo, quindi, ha portato alla previsione, poi smentita dai fatti, di un crollo dei commerci globali. Sull’onda di una prima effettiva contrazione (che si è però assestata al 3.8% all’inizio del 2020), le aziende di trasporti hanno ridotto il numero di tratte, tagliando migliaia di viaggi dall’Asia verso l’Occidente.

Grazie al contenimento del contagio in Cina, tuttavia, le produzioni sono ripartite. La ripresa è stata spinta da un forte ed improvviso aumento della domanda di beni materiali considerati necessari durante il lockdown. Non potendo spendere in servizi, viaggi o cene fuori, infatti, le persone costrette a stare a casa hanno acquistato, soprattutto online, beni di consumo come dispositivi di protezione, computer, elettrodomestici e altri prodotti, per lo più provenienti dalla Cina.

I trasportatori, impreparati a sostenere la movimentazione di una richiesta di beni così alta e non attrezzati con abbastanza container nei porti cinesi, si sono ritrovati in affanno. Al contrario della crisi finanziaria del 2008, che ha colpito le economie nazionali contemporaneamente, i ripetuti lockdown che si sono susseguiti nei vari paesi a diverse velocità e intensità, complicano la situazione attuale e allungano i tempi della crisi dello shipping.

Principali criticità alla base della crisi dello shipping

I problemi principali che ancora ostacolano lo shipping, mettendo in difficoltà imprese e persone, sono strettamente interconnessi: dalla carenza di personale per i trasporti sia di terra che di mare, alle restrizioni alla mobilità imposte dagli stati, dalla congestione dei porti, all’insufficienza di container e navi. Le prime macroscopiche conseguenze di queste quattro principali criticità sono i ritardi nelle consegne e i rincari sul prezzo dei noli (il costo di un container da 20 piedi a giugno 2020 sulla rotta Shanghai-Europa era meno di 1.000 dollari; a Luglio 2021 era di 7.395 dollari. Un aumento complessivo del 600%.)

L’impennata dei costi dei noli per container da 40 piedi (SCMP).

Il Global Maritime Forum ha denunciato che, dallo scoppio della pandemia, sono stati 400.000 gli operatori marittimi bloccati sulle navi per un tempo superiore al loro ingaggio (massimo 11 mesi), oltre la scadenza del loro contratto. Questo problema è strettamente connesso al secondo, cioè alle restrizioni alla mobilità imposte dagli stati. Infatti, il diffondersi della variante Omicron e le conseguenti restrizioni governative nel Sud-Est Asiatico, in paesi chiave per l’approvvigionamento di personale marittimo, hanno causato un’interruzione nei cambi di equipaggio. Chi è rimasto a bordo non è potuto scendere, in condizioni di scarsità di tamponi e mascherine. Chi era a terra non ha potuto dare il cambio, rimanendo senza stipendio per l’ingaggio mancato. Situazioni critiche si sono verificate anche per i trasporti via terra: c’è infatti penuria di autotrasportatori dall’est Europa che effettuino gli spostamenti di merci dai porti ai magazzini. Oltre agli effetti della pandemia, anche quelli della guerra in Ucraina sembrano aggravare la disponibilità del trasporto su gomma.

La maggioranza degli 1.9 milioni di lavoratori marittimi provengono da paesi in via di sviluppo. (UNCTAD)

Congestione dei porti e carenza di container

Ad ottobre 2021, Biden ha annunciato un piano di operatività del porto di Los Angeles per 24 ore, sette giorni su sette, allo scopo di smaltire le centinaia di navi porta container in coda davanti agli attracchi. Grande fonte di rallentamenti, infatti, è proprio la congestione di navi cargo nei porti di destinazione. Oltre ad un fattore strutturale di qualità dell’infrastruttura portuale e di poca capillarità della connettività marittima, per lo più concentrata in pochi grandi porti, le restrizioni governative alla mobilità incidono sui tempi di scarico. In particolare, la politica cinese di “zero-Covid” impone, in caso di rischio, quarantene di 14 giorni alle navi cargo e gli equipaggi a bordo. In uno dei mercati più importanti per i trasporti marittimi, queste limitazioni hanno forti ripercussioni su tutta la catena del valore.

Infine, non è ancora completamente risolta la carenza di container causata da un accumulo di vuoti nei porti di importazione, a discapito di quelli cinesi. Questa criticità si sta gradualmente alleviando. Infatti, oltre al trasporto dei contenitori vuoti verso la Cina, anche la produzione di container nuovi è aumentata. La Cina è il primo produttore di container a livello mondiale. Nel 2021, ha portato la capacità produttiva mensile da 200.000 a 500.000 contenitori da 20 piedi, con un surplus di inventario di 400.000 unità.

Possibili scenari futuri

La pandemia sta mettendo a dura prova il ritorno alla normalità anche nel mondo del commercio marittimo, esacerbando tendenze già problematiche precedenti all’emergenza. Oggi, con tempi di consegna di 60/70 giorni e tariffe sui noli che spesso superano il valore della stessa merce acquistata, ci si interroga sulla sostenibilità di una catena del valore che concentra la maggior parte delle forniture in Asia, a migliaia di chilometri da chi acquista.

E’ possibile che la supply chain, in certi casi, si rilocalizzi e nuovi poli produttivi “locali” ne beneficino. Tuttavia, nel prossimo futuro la Cina continuerà ad essere l’hub produttivo principale nel mondo. Ricostruire il sistema di forniture non è un processo immediato, né imminente. E’ invece urgente che lo shipping si evolva assecondando altri importanti trend resi manifesti dalla pandemia. Digitalizzazione e sostenibilità delle infrastrutture portuali, trasparenza nel mercato dei trasporti e tutela dei lavoratori possono riportare alla normalità lo shipping internazionale.



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