Made in Italy in Cina: ai cinesi piace mangiare italiano?
I prodotti Made in Italy in Cina sono sempre più conosciuti. Il Made in Italy, da sempre sinonimo di eccellenza e qualità, non demorde. Nell’anno della pandemia, paradossalmente, è stato registrato un record storico per i prodotti alimentari Made in Italy, con un balzo del 20,5% nel 2020 ed un valore che supera per la prima volta il mezzo miliardo di euro. Questo è quanto emerge da un’analisi della Coldiretti sui dati Istat diffusi in occasione dell’entrata in vigore dell’accordo tra UE e Cina che prevede la tutela reciproca di 200 prodotti a denominazione di origine controllata. Il settore è in crescita, ma il lavoro da fare per valorizzare i prodotti alimentari del nostro paese è ancora molto.
SOMMARIO:
- Ristorazione Made in Italy
- Ristorante italiano e branding Made in China
- Mangiare Made in Italy è cosa da ricchi
- Prodotti a denominazione controllata Made in Italy
- Il vino italiano deve vedersela con i francesi e gli australiani
- Conclusioni
Ristorazione Made in Italy
Camminando per metropoli come Shanghai, Pechino o Guangzhou, è facile imbattersi in ristoranti e locali di varie provenienze ed etnie. Si passa dagli Irish Pub, ai ristoranti giapponesi, per poi arrivare alla classica pizzeria che sfoggia una bel tricolore all’ingresso. Solo a Shanghai ci sono circa 11.600 ristoranti italiani, da quelli più autentici a quelli che invece provano a fare una cucina più affine ai gusti cinesi.
Bisogna però tenere bene a mente una cosa: la Cina non è tutta uguale. Questo si capisce anche solamente facendo caso a quanti ristoranti di cucine regionali cinesi ci sono in un unico quartiere. Uno degli errori più comuni che gli investitori stranieri commettono quando decidono di penetrare il mercato cinese è proprio considerare la Cina un mercato grande ed unico, identico regione per regione. Ogni città e regione cinese non solo presenta sfaccettature culturali diverse, ma anche livelli di sviluppo e tendenze non sempre omogenee. Per questo un ristorante italiano in Cina può funzionare in una città, mentre in un’altra è destinato a chiudere dopo un anno dalla sua apertura.
Per questo è importante dividere le città in fasce. La fascia uno delimita le città più grandi e più ricche, e più ci si allontana da questa più le città sono piccole e povere. Un parametro preso in considerazione per determinare la fascia di una città è proprio la presenza di brand occidentali. Ad esempio il numero di Starbucks distingue le città di fascia 2 da quelle di fascia 3. Un brand come Starbucks è invece presente in ogni angolo di una città di fascia 1 come Shanghai. Proprio a Shanghai nel 2017 è stato aperto l’enorme Starbucks Reserve al 789 di West Nanjing Road. Non molti sanno che al suo interno c’è Princi, l’eccellenza delle panetterie milanesi.
Ristorante italiano e branding Made in China
Non si giudica mai un libro dalla copertina, ma spesso il successo dei ristoranti italiani in Cina è determinato dal modo in cui si presentano. Il branding di un locale deve compiacere i gusti cinesi, per questo è essenziale prestare cura ed attenzione alla traduzione del nome e alla realizzazione di un logo che piaccia. Tra gli aspetti essenziali del successo di un ristorante italiano in Cina vediamo al primo posto la pubblicità. Lavorare nel settore F&B in Cina implica anche saper sfruttare tutte le risorse, specialmente quelle online come 美团点评 (Meituan Dianping) e Wechat.
In Cina la strategia migliore per interagire con i clienti e far conoscere il proprio ristorante è il passaparola, che avviene soprattutto attraverso i social network. Questi sono infatti usati per pubblicizzare tutte le attività del ristorante: degustazioni, cene a tema, lezioni di cucina, contest e molto altro. L’esperienza del consumatore è essenziale, e quando parliamo di ristoranti italiani in Cina, in molti cercano un’esperienza autentica.
Il consumatore cinese nell’ultimo decennio ha maturato una consapevolezza maggiore nei confronti della nostra tradizione e cultura enogastronomica, principalmente grazie alla crescita del turismo cinese in Italia, ovviamente pre-pandemia. Questo però non vale per tutte le città, e comunque la classe che conosce ed apprezza la cucina italiana rappresenta una sottile fetta dell’élite cinese.
Mangiare Made in Italy è cosa da ricchi
L’equazione Italia uguale buon cibo non è ancora scontata in Cina. Gli alti costi dell’import dei prodotti Made in Italy hanno reso il cibo del Bel Paese estremamente caro e conosciuto solo dalla metà dei benestanti cinesi. La nuova upper class di Pechino e Shanghai conosce la pasta italiana e identifica il Barolo come celebre vino italiano, ma, secondo un’indagine diretta da Nomisma Wine Monitor nel 2018 su un campione di 2.000 cittadini dal reddito medio-alto, residenti nelle due moderne megalopoli, è risultato che la metà di questi non sapesse fare un’associazione di un prodotto o di un brand agroalimentare con l’Italia.
Il 70% degli intervistati, ad esempio, abbina la produzione del vino alla Francia, e solo il 20% conosce anche l’eccellenza del vino italiano. La pasta rimane la regina indiscussa dei prodotti Made in Italy conosciuti in Cina. Dalle stessa indagine, invece, la pizza è stata riconosciuta come italiana solo dal 3% delle persone intervistate, a conferma anche di quanto la pizza sia diventata un prodotto globalizzato a causa della presenza di catene come Pizza Hut. Marchi come Illy, Parma e Barilla sono tutti all’1% di notorietà, confermando in sostanza che il Made in Italy è più conosciuto in Cina quando si parla di grandi firme della moda.
Prodotti a denominazione controllata Made in Italy in Cina
Secondo Coldiretti, l’accordo siglato tra Unione Europea e Cina rappresenta un primo passo importante, ma insufficiente con solo il 3% dei prodotti italiani con indicazione di origine a listino. Per l’Italia, leader europeo nelle denominazioni di origine, attualmente sono tutelati in Cina: aceto balsamico di Modena, Asiago, Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Bresaola della Valtellina, Brunello di Montalcino, Chianti, Conegliano-Valdobbiadene Prosecco, Dolcetto d’Alba, Franciacorta, gorgonzola, Grana Padano, grappa, Montepulciano d’Abruzzo, buffalo mozzarella from Campania, Parmigiano Reggiano, pecorino Romano, Prosciutto di Parma, prosciutto San Daniele, Soave, taleggio, Toscano, Vino Nobile di Montepulciano.
Una lista ancora troppo corta quando c’è in ballo la tutela dei prodotti Made In Italy e l’export di questi in Cina. Secondo Coldiretti comunque stiamo procedendo verso la giusta direzione: in questo contesto è importante anche lavorare per superare le barriere tecniche ancora presenti per l’export nazionale.
Nel 2016 è stato tolto il divieto all’importazione di carne suina italiana e nel 2018 sono state aperte le frontiere in Cina per l’erba medica italiana. Al momento, per quanto riguarda la frutta fresca, ad esempio, l’Italia può esportare in Cina solo kiwi e agrumi, mentre mele e pere risultano ancora bloccati. Il primo ostacolo dell’import in Cina dei prodotti agroalimentari italiani è proprio la priorità che il Governo ha iniziato a dare alla sicurezza alimentare, come dimostrano le modifiche alla Food Safety Law nel 2015. Le revisioni sono di ampio respiro e impongono controlli e supervisione più severi sulla produzione alimentare e gestione, implicando maggiori limiti all’import.
Il vino italiano deve vedersela con i francesi e gli australiani
I cinesi sono sempre di più amanti del vino e consumatori consapevoli di bottiglie di un certo spessore. Anche se è difficile competere con la fama dei vini francesi, ed i prezzi più bassi di vini australiani e cileni in Cina, il vino italiano sta guadagnando il suo terreno in Oriente. Ha avuto la sua rinascita lo scorso aprile; analizzando i risultati doganali del primo quadrimestre, questa grande opportunità ad Oriente è stata spinta proprio dal crollo australiano (-80% ), che ha determinato crescite a doppia cifra di tutti i competitor, con l’import italiano a +22%. L’Italia si trova ancora dopo la Francia, che ha visto in questo ultimo anno il boom degli champagne (+110%) .
L’import del vino si adatta ai gusti cinesi, con preferenza per i vini rossi corposi. Ai cinesi piacciono l’Amarone, il Barolo, il Brunello ed il Chianti: i vini italiani più conosciuti ad Oriente. Mentre continuano ad avere qualche pregiudizio nei confronti dei vini di fascia media. Il tipico consumatore cinese è un uomo d’affari in cerca di vini corposi da proporre per le proprie cene di lavoro.
Non piace molto il vino con un’acidità spiccata, e viene preferito quello che abbraccia il palato con la sua rotondità, caratteristica descritta in cinese come 饱满 bǎomǎn. Al naso il vino deve anche avere un aroma molto forte 芳香fāngxiāng, preferibilmente di frutti e fiori rossi. L’intensità 浓郁 nóngyù, è anche importante, magari simile ad alcuni tè molto forti come il pu’er. Vini come l’Amarone piacciono per l’elevata quantità di zuccheri dovuta all’essiccazione dell’uva, che lo rende al tempo stesso un vino molto alcolico e che lascia un retrogusto dolciastro, 回味 huíwèi.
Conclusioni
In generale più una città è grande più ci sono ristoranti italiani, più è la consapevolezza da parte del consumatore cinese, ma anche maggiore la competizione. Molti ristoratori si trovano poi a combattere con la competizione “italo-americana” di colossi come Pizza Hut, mentre altri ristoratori cercano di aumentare la consapevolezza cinese nei confronti della qualità dei prodotti enogastronomici Made In Italy. Le chiusure degli ultimi due anni hanno portato i consumatori cinesi a cercare i sapori italiani in Cina, questo giustificherebbe in parte la crescita dell’import del Made in Italy nel 2020, ma anche la presenza di un consumatore che apprezza e conosce i prodotti italiani. Per esportare la qualità italiana in Cina c’è ancora molto lavoro da fare, specialmente sfruttando al meglio gli strumenti di marketing online cinesi.
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Fonti:
Aspirante scrittrice che attualmente studia Storia dell’Arte cinese alla China Academy of Art di Hangzhou. Laureata a Ca’ Foscari in studi cinesi, nutro da sempre un forte interesse per la Cina. Appassionata di fotografia e d’arte ed autrice del blog perquelchenesoio.com .