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Caso Tuber: si chiude uno spiraglio di apertura nell’Internet cinese?

Caso Tuber: si chiude uno spiraglio di apertura nell’Internet cinese?

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Domenica 11 ottobre sembrerebbe essersi chiuso uno spiraglio di apertura nell’Internet cinese. Lapp Tuber, che ha consentito a 5 milioni di utenti di accedere a siti tradizionalmente bloccati dal governo cinese, è sparita dallo store di Android, dove era disponibile da fine settembre.

SOMMARIO

Il caso Tuber

Nel vasto universo delle applicazioni cinesi, si è inserita per poco più di due settimane l’app Tuber. Scaricata da circa 5 dei 904 milioni di utenti Internet del Paese di Mezzo, l’app ha rappresentato il più significativo segno di apertura verso siti web occidentali di norma oscurati dalla censura governativa cinese. Tuber funzionava da canale attraverso il quale accedere a siti e social media statunitensi come Facebook, Instagram, Twitter e Youtube. Come qualsiasi altra app cinese, Tuber era scaricabile senza l’ausilio di VPN e richiedeva all’utente di registrarsi con il suo numero di telefono, legato ad un’identità univoca e quindi facilmente tracciabile.

Oltre al controllo sugli utenti, però, l’app esercitava un controllo anche sui contenuti visibili durante la navigazione sui siti tradizionalmente bannati. Quelle su Tuber erano versioni “innocue” di Facebook, Youtube e Twitter, accuratamente private di quelle informazioni controverse da cui i cittadini cinesi vengono “preservati”. Così le ricerche del nome “Xi Jinping” non producevano che pochi, selezionati risultati sullo Youtube di Tuber. Erano anche, per esempio, oscurati i contenuti relativi alle tre T della censura cinese: Taiwan, Tibet e Tiananmen.

La app Tuber dà accesso immediato ad alcuni dei tradizionalemente censurati siti occidentali.
La app Tuber dà accesso immediato ad alcuni dei tradizionalmente censurati siti occidentali. (SCMP)

Tuber: apertura o raffinata censura?

Sebbene Tuber abbia rappresentato una maggiore apertura dell’Internet cinese, è un esempio di equilibrio tra un controllo sempre più sofisticato sui contenuti e sui dati degli utenti e il soddisfacimento dei desideri del popolo di Internet. L’azienda proprietaria al 70% dell’app, che l’ha distribuita sugli store Android e programmava di diffonderla anche su quelli iOS, fa capo alla più grande compagnia di cybersecurity in Cina, Qihoo 360 Technology ed è stata fondata dal miliardario, magnate della tecnologia, Zhou Hongyi.

Nel 2016, Zhou ha rimosso Qihoo 360 Technology dalla borsa di New York, dove era quotata, per poi spostarla a Pechino nel 2018, allineandosi agli interessi nazionali. Zhou viene considerato un consigliere politico vicino al Partito Comunista Cinese. Nel 2019 è stato nominato vicepresidente nel consiglio di amministrazione della CyberSecuirity Association of China (CSAC). CSAC è un’associazione di industriali controllata dal Partito Comunista Cinese. Il presidente Xi Jinping l’ha lanciata nel 2016 allo scopo di consolidare e centralizzare la burocrazia e integrare i maggiori stakeholder in materia di cybersecurity. Il presidente dell’associazione è Fang Binxing, noto come il padre del “Great Firewall” cinese, il sistema di sorveglianza e censura che seleziona i contenuti degli utenti che navigano dalla Cina.

Considerata l’origine e l’implementazione di Tuber, è difficile pensare che non ci sia stato il benestare del governo centrale nel portare avanti questo breve esperimento di apertura, o di raffinata censura, che è cominciato e si è concluso senza troppo clamore.

Quale futuro per l’Internet cinese?

Non è chiaro il motivo per cui l’app sia stata rimossa dallo Huawei Android store, lasciando gli utenti in sospeso con il messaggio “in corso di aggiornamento”; non è nemmeno chiaro se le aziende statunitensi si siano coordinate con le autorità cinesi affinché fossero accessibili su Tuber le versioni non integrali di Facebook, Instagram, Youtube, Twitter, etc.

La storia di Tuber, però, lascia intravedere un possibile futuro dell’Internet cinese. Attualmente, il modo più utilizzato di scavalcare la “Grande Muraglia di Fuoco” e approdare su siti occidentali è attraverso un VPN, una rete privata virtuale. I VPN sono illegali nel paese e vengono regolarmente disattivati dalle autorità. Tuttavia, si stima che circa il 30% degli utenti utilizzino un VPN in Cina. Il primo motivo che li spinge a voler oltrepassare la censura è un maggiore accesso a contenuti di intrattenimento. Così Tuber, durante le sue poche settimane di attività, ha rappresentato un perfetto compromesso. Da una parte ha soddisfatto l’ambizione del governo di sorvegliare in modo sempre più sofisticato Internet, erodendo la necessità di utilizzare gli incontrollabili VPN. D’altro canto, ha alimentato il desiderio degli user cinesi di accedere all’intrattenimento di matrice occidentale.  

Conclusione

Come spesso accade quando si tratta di Cina, anche la vicenda di Tuber non è semplice come sembra. Mentre l’applicazione ha rappresentato per certi versi un segnale di apertura verso i grandi browser occidentali, in un periodo storico in cui la messa al bando di app cinesi è un’istanza sempre più decisa da parte di governi democratici come quelli di Stati Uniti e India, Tuber è stato anche la riprova di un’ulteriore sofisticatezza della censura di Pechino.

Visto da questa prospettiva, Tuber potrebbe essere stato il progetto pilota di un futuro cambiamento da attuare su larga scala, secondo un modus operandi consolidato del PCC. Le implicazioni di questo cambiamento avrebbero un impatto sociale e politico interno alla Cina, ma anche conseguenze sugli equilibri internazionali e sui rapporti tra grandi aziende IT e governi. Non resta che continuare a monitorare l’universo del web cinese per capire quale sarà il prossimo passo.    



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