Violenza domestica in Cina: uno spiraglio di attivismo?
Come nel resto del mondo, il fenomeno della violenza domestica in Cina rimane ancora oggi una questione profondamente intrecciata con il pregiudizio tradizionalista. Tuttavia, da qualche anno il governo e la società civile si sono mobilitati per sostenere le vittime di violenza e sensibilizzare la popolazione sul tema degli abusi.
SOMMARIO
- Violenza domestica in Cina: incidenza e cause
- Il contesto sociale e culturale
- Il quadro legislativo e la legge del 2016
- Esempi di attivismo e lotta alla violenza di genere
- Conclusione
Violenza domestica in Cina: incidenza e cause
Nell’ottobre dello scorso anno, una giovane vlogger di nome Lhamo è stata aggredita dall’ex-marito che l’ha letteralmente bruciata viva durante una diretta streaming. Lhamo, popolare su Douyin per i video che ritraevano le bellezze della sua terra, è morta a soli 30 anni in un ospedale del Sichuan. La storia della giovane influencer, che ha scatenato indignazione tra l’opinione pubblica, è l’ennesimo episodio che vede le donne cinesi protagoniste infelici e vittime di violenza familiare.
In Cina ogni 7,4 minuti una donna subisce un atto di violenza dal proprio marito o fidanzato. Secondo un sondaggio condotto dalla Federazione delle Donne Cinesi nel 2013, il 30% delle mogli è vittima di violenza domestica. Sfortunatamente, sono ancora troppe le storie di aggressione familiare che terminano in tragedia. Infatti, l’analisi mostra che ogni anno 157.000 donne perdono la vita a seguito di aggressione; tra queste, il 60% degli episodi si consuma all’interno delle mura di casa. Le statistiche locali dipingono degli scenari ben più preoccupanti: il fenomeno si verifica con maggiore incidenza nelle zone di campagna più tradizionaliste.
I principali fattori di rischio quando si parla di violenza domestica in Cina sono povertà e appartenenza ad un ceto sociale basso, gelosia, stress e dipendenza da alcool. Nonostante la rilevanza del fenomeno, reperire dati sulle violenze familiari in Cina diventa sempre più complesso. Così come in altre realtà, il governo tende ad oscurare le statistiche nazionali e molti casi di aggressione cadono nel dimenticatoio.
Per di più, figlie di una società profondamente patriarcale, molte vittime di violenza decidono di soffrire tacitamente e rimangono così intrappolate in una relazione velenosa. Le motivazioni che spingono al silenzio sono la dipendenza economica dal proprio partner, la paura dell’emarginazione e le costanti minacce di ritorsione verso i figli.
Contesto sociale e culturale
Di fronte ai dati precedentemente analizzati, è chiaro come in molti casi la donna ricopra un ruolo secondario all’interno degli equilibri familiari. Secondo gli osservatori, l’origine dell’accettazione sociale e culturale della donna come figura subordinata al marito risiede nella tradizione confuciana.
Si potrebbe citare in questo caso il dogma di epoca imperiale delle “Tre Obbedienze e Quattro Virtù”, in cinese三从四德 sāncóng sìdé. Quello che era considerato un vero e proprio codice sociale ha tramandato per secoli l’obbedienza delle figlie verso i padri, delle mogli verso i mariti e delle vedove verso i figli maschi. E così, il pregiudizio tradizionalista non ha fatto altro che assecondare e giustificare gli atti di violenza perpetrati verso le donne, in famiglia come in società.
Un altro aspetto culturale che ha inciso molto su questo fenomeno è la concezione secondo cui ciò che accade nella sfera privata non deve essere condiviso; nella maggior parte dei casi, la violenza familiare non è percepita come una piaga sociale, ma come una faccenda personale da custodire gelosamente. Perciò, spesso sono le famiglie stesse ad insistere affinché il crimine non venga denunciato e le vittime non chiedano la separazione.
Come nella sfera culturale, anche in quella legislativa la violenza domestica il più delle volte viene sminuita per preservare l’armonia familiare, a volte a costo della vita stessa.
Il quadro legislativo e la legge del 2016
Cresciute in un ambiente prettamente maschilista, per anni le donne cinesi hanno dovuto fare i conti con l’assenza di un sistema legislativo che le proteggesse. È solo negli anni ’90 che si inizia a discutere apertamente di violenza familiare e del bisogno di creare una legge che difenda le donne.
Sotto la spinta dell’opinione pubblica e degli attivisti nazionali, nel 2016 il governo emana la sua prima legge contro la violenza domestica. La legge, in cinese 反家庭暴力法 fǎn jiātíng baòlì fǎ, proibisce ogni forma di abuso fisico e psicologico all’interno del rapporto di coppia, anche al di fuori del matrimonio. Al centro della normativa c’è la volontà di snellire il procedimento che permette alla vittima di ottenere un’ordinanza restrittiva.
La legge compie cinque anni: cosa è cambiato?
A cinque anni dalla sua nascita, la legge è riuscita a infondere una consapevolezza maggiore sulla gravità del fenomeno, e i dati lo dimostrano. Mentre nel 2016 solo 687 persone hanno esposto denuncia presso le autorità cinesi, il 2019 ha registrato ben 2004 casi di ordini di protezione. L’anno scorso, il Ministero della Pubblica Sicurezza ha dimostrato come gli interventi della polizia siano serviti ad impedire più di sei milioni di aggressioni domestiche.
Tuttavia, molti osservatori evidenziano come la normativa si sia rivelata inefficace e macchinosa: dopo aver provveduto autonomamente alla raccolta delle prove, le vittime non hanno la certezza di riuscire ad ottenere un ordine restrittivo contro il proprio carnefice. Assistite da un avvocato privato, solo alcune riescono ad arrivare in tribunale, dove spesso vengono costrette dal giudice a ricorrere alla mediazione, pratica che le lascia vulnerabili.
Inoltre, è importante sottolineare che la legge classifica la violenza domestica tra i reati civili, quindi una violazione del contratto tra l’individuo e lo Stato. Di conseguenza, se l’aggressore viola l’ordine restrittivo potrà incorrere in provvedimenti di certo non proporzionati al crimine commesso; solitamente si parla di sanzioni di circa 150 euro, detenzione di due settimane e, nella peggiore delle ipotesi, denuncia penale.
Assieme allo status “civile” della normativa, la negligenza degli ufficiali locali non ha di certo inciso positivamente sul bilancio complessivo, dove le donne si collocano ancora in una posizione di forte svantaggio. Infine, è proprio la mancanza di fiducia delle vittime nei confronti dell’inaffidabilità del sistema a far sì che la violenza non venga fermata.
Esempi di attivismo e lotta alla violenza di genere
Così come in molti paesi, anche in Cina l’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e il conseguente lock down hanno portato all’intensificazione dei casi di violenza tra le mura domestiche. Il confinamento forzato e la perdita del lavoro hanno innalzato un muro tra le vittime e i servizi di supporto quali strutture di ospitalità e centri anti violenza.
In risposta all’aumento dell’emergenza, alcuni attivisti cinesi hanno dato vita ad un gruppo di sostegno virtuale e una help line legale per donne in difficoltà. Gli attivisti, guidati da una giovane femminista di Wuhan, hanno pubblicato una lettera che chiede di porre fine alla violenza domestica, ed incoraggiato i lettori a diffonderne il messaggio. Il progetto è stato un vero successo: sin dalle prime ore dalla sua pubblicazione, la lettera è stata esposta da migliaia di persone sui muri delle città e ha riscosso una risonanza ancora più ampia sui social media.
Xiao Juan: una canzone per non dimenticare
Nel dicembre dello scorso anno, l’hashtag #谭维维歌词好敢写 Tánwéiwéi gēcí hǎo gǎn xiě, in italiano “la canzone di Tan Weiwei parla chiaramente” ha spopolato su Weibo. Il nuovo singolo di Tan Weiwei, nota star del pop cinese, si intitola “Xiao Juan” e vuole dar voce a tutte le donne che hanno subito maltrattamenti e sono morte per mano di uomini violenti.
Ultimo brano di un album interamente dedicato alle storie di donne comuni, Xiao Juan prende il nome dall’appellativo fittizio dietro cui i media cinesi nascondono l’identità delle vittime di cronaca nera. Infatti, le parole della cantante sono forti, senza filtri e denunciano episodi realmente accaduti. Ad esempio, Tan parla di pugni, benzina e acido solforico, riferendosi all’omicidio già citato della giovane Lhamo.
Cantando di episodi di cronaca realmente accaduti nel suo paese, l’artista non intende denunciare solo gli abusi familiari, ma vuole colpire dritto al cuore di quella cultura misogina che si nasconde dietro la violenza stessa. Secondo gli attivisti cinesi, Tan Weiwei è la prima celebrità a trattare il tema della violenza domestica nei suoi testi. Smascherando il tabù della violenza di genere, Tan è riuscita ad avvicinare il mondo della musica popolare ad una delle tematiche più drammatiche della società civile. Infatti, l’uscita del disco ha dato coraggio a tantissime donne che hanno condiviso le storie di violenza vissuta personale e familiare sui social media cinesi.
Conclusione
Secondo i dati ufficiali, la violenza domestica colpisce una donna su tre in Cina. Nonostante la portata pandemica del fenomeno, esso rimane per molti un tabù e una faccenda personale da non condividere né tanto meno denunciare. Negli ultimi anni, il governo si è mobilitato in difesa delle vittime; ha emanato la prima legge contro gli abusi e adottato provvedimenti, come l’istituzione di un registro che racchiuda i nomi di chi ha commesso atti di violenza in passato.
Nel momento storico che stiamo vivendo, gli atti di sensibilizzazione compiuti da attivisti, protagonisti dello spettacolo e cittadini comuni si riempiono di significato, e fanno sperare in una presa di coscienza da parte delle donne e della società cinese.
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Fonti:
Appassionata di cinema e letteratura cinese, credo nell’importanza di vivere la lingua come opportunità di scambio con l’altro e chiave di lettura delle bellezze del nostro mondo. Sono specializzata in lingua cinese e management presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e mi interesso di cultura e società della Cina contemporanea.