Birra artigianale in Cina: l’iniziativa imprenditoriale di Silvio
Architetto di nascita e ora imprenditore di professione. La passione per la birra ha spinto Silvio Festari a dar vita a Postwave Brewing e a diffondere la cultura della birra artigianale in Cina.
Come evidenziato da diversi studi archeologici, i cinesi iniziarono a produrre birra intorno al 7.000 a.C. usando principalmente ingredienti come uva, miele, biancospini e riso.
Nel corso dei secoli, però, la birra non è mai riuscita a diffondersi a livello nazionale e fu poi soppiantata da altre bevande alcoliche, come il huangjiu.
Fu solo all’inizio del Novecento che la Cina riscoprì la birra per mano degli europei. Dopo un periodo di relativo letargo, alla fine degli anni Settanta, come in molti altri settori produttivi, la Cina iniziò ad accelerare, riuscendo a superare nel 2002 gli Stati Uniti come il più grande produttore di birra.
La Cina è adesso il più grande mercato della birra al mondo, con un valore di oltre 121 miliardi di dollari nel 2022. Ad essa si deve il 12% delle vendite di birra a livello mondiale e un consumo pro capite pari a circa 80 dollari all’anno.
E se guardiamo più da vicino, cosa scopriamo riguardo al mondo della birra artigianale in Cina?
Scopriamo che il gusto dei consumatori cinesi sta cambiando rapidamente, tra nuove tendenze ed esigenze portate dalle giovani generazioni, principalmente millennials e Gen Z.

A dimostrarlo i dati. Nel 2021, il mercato della birra artigianale in Cina ha raggiunto la modica cifra di 78,5 miliardi di RMB, facendo registrare una crescita del 79% rispetto al 2018. Il trend è in aumento e si stima che, a fine 2026, supererà i 210 miliardi di RMB.
Silvio Festari, dalla pianura lombarda, conosce bene le potenzialità della birra artigianale e punta a conquistare la Cina un sorso di birra alla volta.
Ciao Silvio. Per rompere un po’ il ghiaccio raccontaci di come è nato il tuo legame con la Cina e, soprattutto, cosa ti ha spinto a dar vita a Postwave Brewing.
Il mio legame con la Cina nasce sul finire del 2012, inizialmente per motivi di studio. Partecipai al bando del Politecnico di Milano per ottenere la doppia laurea e trascorrere un anno alla Tongji University di Shanghai. Desideroso di fare esperienza sul campo, riuscii a finire tutti i miei esami nel primo semestre e a lasciarmi gli altri sei mesi per lavorare in un noto studio di design della città. Proprio qui incontrai i miei compagni di avventura per il nostro progetto Postwave Brewing.
Devo dire che l’idea non è arrivata all’improvviso. Inizialmente avevamo messo in piedi uno studio di architettura, Lv Hengzhong, principalmente per progettare allestimenti museali.
Lo studio esiste ancora oggi anche se, con il focus sulla birra, abbiamo molto ridimensionato il carico di lavoro e, per ora, riusciamo a seguire solo progetti piccoli.
Per quanto riguarda la birra, la spinta nasce ovviamente da una nostra passione e dal desiderio di dar vita a un progetto multiculturale che potesse connettere Italia e Cina. Cercavamo un prodotto che si potesse produrre in Cina e che fosse al tempo stesso un veicolo di scambio culturale.
Cosa di meglio della birra? La birra, più di tante altre bevande come il vino, è un prodotto sociale, fatta di scambio e relazioni. Grazie alla consulenza di due grandi maestri birrai italiani che conoscevo, sul finire del 2019, abbiamo iniziato a produrre la nostra birra craft in Cina.
Ovviamente abbiamo anche lavorato al progetto del birrificio, uno spazio di circa 2000 mq situato nella graziosa città di Xitang (西塘), nello Zhejiang. Abbiamo investito molto per creare una realtà produttiva all’avanguardia. Inoltre, adesso la Cina sta diventando sempre più attenta per quanto riguarda il controllo dell’igiene e gli standard sono molto alti.
Che tipo di birre producete e quali sono i vostri punti di forza?
Inizialmente volevamo proporre al mercato cinese una birra dal gusto europeo e, occasionalmente, qualche prodotto di stampo più americano. La Cina è ancora relativamente distante dal movimento craft beer e non vi è una vera cultura in tal senso come negli Stati Uniti, Europa o in Giappone.
All’inizio offrivamo principalmente degli stili ben chiari, come ad esempio le Ale e quindi birre ad alta fermentazione. Avevamo anche birre dagli stili più semplici, come la classica “bionda” tedesca o birre più scure sulla scia della tradizione belga.
Con il tempo abbiamo però iniziato a sviluppare le nostre ricette legate al territorio e alla tradizione locale. Così ingredienti come il tè, i lychees, il pomelo o una zucca locale sono entrati a far parte della nostra offerta. Siamo arrivati a una produzione di circa 30/35 ricette, a rotazione, sempre legate alla stagionalità e, soprattutto, al contesto cinese.
Quindi, per riassumere, siamo partiti dalla produzione classica per tastare il terreno, per poi orientarci verso gusti più legati al contesto locale, con ricette e materie prime del posto.
Generalmente, quali sono le differenze tra una birra artigianale e una birra industriale?
Sicuramente non è una risposta facile. In Italia, l’etichetta di birra artigianale è sia legata ai volumi di produzione che alla grandezza del birrificio dove produci. Inoltre, una birra craft non deve essere microfiltrata e non deve essere pastorizzata.
La pastorizzazione è un processo che viene fatto alla fine e che serve a eliminare tutte quelle parti attive presenti nella birra, creando così un prodotto standardizzato che non subisce variazioni nel tempo.
Negli Stati Uniti ultimamente sta andando di moda parlare di live beer, birra viva, proprio perché ci sono una serie di elementi vivi legati ai lieviti, che una birra industriale non ha a causa del processo di pastorizzazione.
Seguendo questa tendenza, in Italia si parlava in passato di birra cruda. Il termine è andato in disuso ma rende bene l’idea. Una birra non pastorizzata e che mantiene una serie di materie prime attive legate ai lieviti e che quindi è un prodotto che varia nel tempo. Se la stappi oggi avrai dei profumi, se la stappi tra qualche mese o anno e potresti notare invece delle note diverse.
Le materie prime, penso al luppolo e al malto ad esempio, sono tutte prodotte in loco in Cina?
Per quanto riguarda le materie prime, inizialmente, volendo produrre birre di gusto europeo e non avendo sul territorio una cultura legata alla craft beer, né una produzione diversificata di birre diversa dalla classica bassa fermentazione di stile tedesco, importavamo prodotti come i luppoli dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, dove ci sono delle ottime produzioni.
Per quanto riguarda i malti, riuscivamo a trovare qualcosa di locale, anche se le produzioni non sono pronte e quindi per la stragrande maggioranza ci rivolgevamo all’estero. Come dicevo, la Cina è ancora un mercato nuovo e inesplorato per quanto riguarda la birra artigianale e, finché non ci sarà un vero movimento, i produttori non saranno spinti a investire e produrre in tal senso.
Ultimamente, con le nuove ricette, stiamo usando prodotti locali e stiamo pensando a coltivare alcuni cereali in loco. Sicuramente sarà un processo lungo e che richiederà molto tempo ma su cui puntiamo molto.
Nel settore della birra, ma più in generale nel mondo del Food & Beverage, qual è la migliore strategia per conquistare la fiducia dei cinesi? Come state distribuendo la vostra birra nel mercato locale?
Non c’è dubbio, il mercato cinese segue le sue logiche e ha le sue peculiarità. Commercialmente parlando, hanno dei modi di lavorare (e di pensare) molto diversi dai nostri.
Nel nostro caso, molto importante è stato il lavoro svolto dai miei partner cinesi, che hanno fatto leva sulle loro conoscenze, le loro guanxi insomma. Lo si è detto molte volte: l’aspetto personale gioca un ruolo cardine quando si vogliono fare affari con i cinesi.
Inoltre, siamo presenti anche in alcuni retail di alto livello, principalmente francesi e tedeschi. Siamo una birra premium e, come fascia di prezzo, competiamo principalmente con le birre importate. Localmente ci sono tre o quattro produttori al nostro livello come volumi e come qualità: uno a Pechino, uno a Wuhan e uno a Shanghai. Praticamente in quattro facciamo il mercato della birra artigianale in Cina che, come avrai capito, è ancora relativamente piccolo. Culturalmente per i cinesi una birra craft significa principalmente una birra importata dall’Europa.
Abbiamo anche un nostro locale, Birroteca, nella concessione francese di Shanghai e abbiamo in cantiere l’apertura di una nuova beer house più grande.
Per riassumere, principalmente lavoriamo con distributori, conoscenze personali di contatti legati al mondo della ristorazione e il nostro locale per la somministrazione diretta.
Chi è il vostro consumatore target e come vi posizionate sul mercato cinese?
In Cina abbiamo sia consumatori europei che cinesi. Generalmente, il nostro consumatore target è una persona che ha viaggiato, con un reddito medio-alto e che vive nelle grandi città, principalmente Pechino, Shanghai, Shenzhen, Chengdu e Chongqing.
Sicuramente ci posizioniamo in una fascia alta. Come dicevo, il nostro è un prodotto premium, e quindi ha un costo superiore rispetto all’offerta locale. Adesso stiamo sviluppando anche delle linee più leggere, legate alla parte di retail e quindi più indirizzate al mass market.
Non c’è dubbio che le vostre birre siano stilisticamente molto curate e artistiche. Quanto è importante, agli occhi dei consumatori, il design di una bottiglia?
Su questo aspetto abbiamo lavorato tantissimo, e non c’è dubbio che in questo siamo stati aiutati dal nostro background di architetti.
Le etichette delle bottiglie possono giocare un ruolo fondamentale. Non sono soltanto delle liste di informazioni, ma devono e possono essere un vero veicolo culturale. Per le nostre bottiglie ci siamo lasciati ispirare dall’immenso patrimonio artistico cinese.
Sull’etichetta ci sono le foto dei cocci di alcune tazze da tè. Queste opere di grande artigianalità prendono il nome di jianzhan ( 建盏 ) e si diffusero in Cina durante la dinastia Song. Queste tazze, prodotte nel Fujian per una sessantina d’anni circa, prendono il nome da particolari smalti, applicati all’epoca tramite un’accurata lavorazione manuale. Lo smalto jianzhan è imprevedibile, poiché la sua colorazione finale cambia in base alla posizione e alla temperatura dell’oggetto nel forno, assai difficile da controllare. Questo li rende pezzi unici e irripetibili nel vero senso del termine. Non a caso, con il tempo non sono più riusciti a riprodurle, perché negli anni è cambiata la composizione del suolo.
Con la nostra proposta di mettere queste tazze sulle nostre bottiglie vogliamo sdoganare l’idea che la storia sia solo per musei: al contrario, può essere molto più vicina alle nuove generazioni.
In Cina, per diversi clienti, abbiamo anche sviluppato bottiglie con design particolari, personalizzate in base alle loro esigenze. Questa capacità di rispondere alle richieste dei nostri consumatori con soluzioni e design ad hoc è uno dei nostri fiori all’occhiello.

Parliamo di pandemia e della strategia cinese del zero-covid. Che impatto ha avuto tutto questo sulla tua attività imprenditoriale e sul vostro birrificio di Xitang?
Bella domanda! Il Covid è scoppiato proprio all’inizio della nostra attività imprenditoriale. Praticamente, avevamo la birra nei fermentatori quando a Wuhan è iniziato il lockdown. Quindi ti lascio immaginare!
Il Covid ha complicato il processo. Quando è iniziato, io e la mia compagna siamo rientrati, e questo è stato l’incipit per portare le birre in Italia.
Avevo con me alcune birre e le ho fatte assaggiare a un ristoratore cinese di Milano, un mio amico, che le ha subito apprezzate e mi ha spinto a iniziare la distribuzione anche qui in Italia.
Da circa due anni quindi abbiamo avviato una nostra attività di importazione e distribuzione, rivolta al target della ristorazione asiatica di alto livello in Italia. Quello che vogliamo è dare un’alternativa alle grandi birre industriali asiatiche, come le classiche Asahi e Tsingdao.
In Cina il Covid ha creato molti problemi. Abbiamo dovuto fermare la produzione, fermare il locale, le persone hanno iniziato a uscire pochissimo (o non a uscire proprio). Fortunatamente, abbiamo un e-commerce che va bene in Cina, e i nostri consumatori sono riusciti a continuare a consumare la nostra birra artigianale comodamente a casa.
Per voi l’e-commerce è stato quindi un “salvagente” durante la pandemia? Su quali canali vendete?
Sì, assolutamente! L’e-commerce ci ha aiutato molto e, anche ora, in Cina è uno dei canali che funziona meglio. Abbiamo ovviamente il nostro e-commerce, ma siamo presenti anche sui maggiori marketplace come Tmall o Taobao.
Qui in Italia dove è possibile trovare le vostre birre? Avete in mente nuovi obiettivi o nuovi mercati da aprire?
Siamo distribuiti un po’ su tutto il territorio. Principalmente, è possibile gustare le nostre birre a Milano, Torino, Roma, Napoli e recentemente anche in Svizzera. L’obiettivo è crescere sempre di più in Europa e, probabilmente, anche negli Stati Uniti.
Per ora, la nostra mission è svilupparci per bene in Cina e strutturarci in Italia, principalmente nella ristorazione asiatica. Insomma, in Cina puntiamo a diventare il primo brand di birra artigianale e, al di fuori della Grande Muraglia, vogliamo diventare un marchio amato e riconosciuto su tutte le tavole della ristorazione asiatica.
干杯!
ASCOLTA ANCHE:
LEGGI ANCHE:
© Riproduzione riservata

Rocco Forgione, classe 1992. Da sempre amante dei viaggi, della lettura e dell’Asia. Ho conseguito una laurea triennale in Lingue e Mediazione Linguistico-Culturale a Roma e poi una doppia laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università di Torino e la Zhejiang University. Sempre pronto a raccogliere la prossima sfida!
