Belt & Road 2.0: Questione di governance?
Si apre una nuova fase per il progetto Belt & Road. La Belt & Road 2.0 prevede, infatti, degli accorgimenti al progetto inizialmente presentato.
In tempi di guerre commerciali e di confronto sistemico USA-Cina, tra gli analisti è ormai aperto il dibattito su una possibile nuova Guerra Fredda. Una Cold War 2.0 innescata dall’America di Trump per contenere la prepotente ascesa politica e tecnologica della Cina di Xi Jinping.
L’ipotesi di una nuova Guerra Fredda
La Cina di oggi è ben altro avversario. La sua Belt & Road Initiative (BRI) è una delle armi strategiche di Pechino per giocare una partita vincente nella globalizzazione e nell’esportazione del modello cinese. Il confronto tra il Washington Consensus e il cosiddetto Beijing Consensus è in corso in realtà dalla metà dello scorso decennio. Ma il mondo di oggi può permettersi una nuova Guerra Fredda?
Interessante sarà quindi seguire l’evoluzione della BRI, la nuova Via della Seta sia terrestre che marittima. Da una parte, l’America protezionista si ritira dalle organizzazioni internazionali e minaccia i suoi partner commerciali. Dall’altra, la Cina costruisce nuove alleanze (non senza errori) e si propone come campione della globalizzazione e dello sviluppo sostenibile. “Ci impegniamo a supportare uno sviluppo aperto, trasparente”, ha ribadito il presidente Xi durante il Secondo Forum BRI lo scorso aprile a Pechino.
La BRI in effetti ha posto la Cina al centro della grande e storica partita dello sviluppo delle infrastrutture globali. Entro il 2040, infatti, si stima che serviranno 94 trilioni di dollari per investimenti in infrastrutture. Questo per poter gestire i grandi cambiamenti demografici, ambientali ed economici destinati a mutare il volto del mondo. Una partita geo-economica e geo-politica che è divenuta partita per la leadership mondiale e che, oltre alla Cina, vede oggi impegnati USA, Giappone e India.
L’investimento sulla Via della Seta
Due sono le puntualizzazioni emerse chiaramente dal Secondo Forum BRI. La prima: secondo molti analisti, la Cina ha già guadagnato molte posizioni. Pechino ha infatti cominciato a lavorare alla nuova Via della Seta già dallo scorso decennio. Avvicinare l’Asia all’Europa nel quadro della cosiddetta politica del “Go Out” ha incentivato la proiezione internazionale dei grandi gruppi cinesi. Con l’arrivo di Xi Jinping, nel 2013 il progetto “One Belt One Road” (OBOR) diviene strategico per l’affermazione della Repubblica popolare sulla scena mondiale.
Oggi, il 64% dei Paesi del mondo supportano la BRI. Solo USA, Giappone e Paesi europei chiave (l’Italia, come è noto, ha dato recentemente il suo supporto) si astengono. Alla fine dello scorso marzo, il governo cinese aveva firmato accordi di cooperazione con 125 Paesi e 29 organizzazioni internazionali. Il progetto, che nel frattempo ha superato la dimensione euroasiatica, include nuovi partecipanti in Africa, America Latina e Pacifico meridionale.
I passi falsi sulla governance
La seconda puntualizzazione: nella prima fase della BRI, Pechino e il braccio armato delle sue imprese hanno commesso errori di governance. Questo ha dato un’arma a chi nel frattempo si era reso conto della potenziale “pericolosità” del progetto per l’occidente, USA in testa. Un iniziale laissez-faire delle autorità cinesi non ha contribuito alla serietà del progetto. La mancanza di controlli sulla corruzione e sul rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente, hanno messo in contraddizione la proposta della BRI. Nel 2017 veniva presentata adatta per una “comunità con un futuro condiviso per il genere umano” e un “nuovo modello di governance globale”.
Per non parlare del problema della “debt trap diplomacy” e delle accuse di “neo-colonialismo” nei i paesi in via di sviluppo interessati da progetti BRI. Sulla difensiva e per dissipare i dubbi del resto del mondo, proprio al Secondo Forum di Pechino, la Cina si è impegnata a migliorare la sua azione per renderla più responsabile, trasparente ed economicamente sostenibile. Quanto al problema della “trappola del debito”, alla vigilia del Forum è arrivato l’accordo con la Malaysia per la rinegoziazione degli importanti progetti infrastrutturali finanziati da Pechino e sospesi per volere della nuova leadership di Kuala Lumpur.
Sei Corridoi e Sei Strade
Rispetto alla fase uno della BRI, Pechino ha inoltre alzato la sfida e allargato il campo d’azione. Non più solo una via di terra e una marittima per le nuove rotte commerciali globali, ma oggi “Sei Corridoi e Sei Strade” che si irradiano dalla Cina e interessano tutti i Paesi confinanti. Le vie che non sono più solo della seta ma anche energetiche e digitali (importanti le recenti dichiarazioni di Xi e Putin in terra russa).
Resta da vedere quali saranno le azioni al di là degli impegni a parole. In ogni caso tre sono le domande di fronte a una potenziale nuova Guerra Fredda e alla ridefinizione degli equilibri di potenza globali. La Cina sta imparando dalla sua esperienza sul fonte della BRI ed è disposta a migliorare realmente la sua azione nel rispetto delle regole globali o Pechino mira a esportare un modello diverso ed egemonico? Sarà possibile rendere veramente multilaterale la BRI e arrivare a una governance e ad una sostenibilità finanziaria migliore? In sostanza, quale volto avrà la BRI 2.0, ovvero la nuova e più matura fase di un progetto globale a cui Pechino certo non vuole e non può rinunciare?
In conclusione
La risposta dipenderà certo da una concreta azione di “ripulitura” delle nuove Vie della Seta e per Pechino non sarà facile. Implementare una buona governance nel settore delle infrastrutture è difficile in patria, lo è ancor più all’estero. La Cina di Xi appare comunque determinata a imporre maggior disciplina per assicurare “alta qualità” ai progetti BRI per il futuro. Ne va dell’immagine stessa della Repubblica popolare in un momento di duro confronto per la leadership globale.
Ma molto dipenderà anche dall’atteggiamento dell’America e dei suoi alleati, asiatici ed europei. Se si vorrà o se si riuscirà ad evitare la Cold War 2.0, facendo prevalere una “cooperative rivalry”, allora la Belt & Road 2.0 potrà essere una vera Via della Seta del Terzo Millennio. Si potrebbe partire dalla scrittura in comune di regole innovative per i grandi progetti infrastrutturali, irrinunciabili per affrontare le grandi sfide globali nell’era della rivoluzione tecnologica. Per arrivare alla riscrittura delle regole di governance del nuovo mondo nato con l’ascesa di nuovi protagonisti, a partire proprio da una Cina che rivendica il suo ruolo di potenza sulla scena globale. Ma chi vuole davvero questa nuova “coesistenza pacifica”?
LEGGI ANCHE:
Articolo di Sara Cristaldi originariamente pubblicato il 08/04/2019 qui.
Carriera improntata allo studio della Cina – dalla lingua alla cultura, dai trend di mercato alle relazioni internazionali. Dopo diverse esperienze di studio e lavoro in Cina iniziate nel 2014, ha sviluppato un interesse verso la facilitazione di iniziative commerciali tra Cina e Italia.