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La Cina e le Nazioni Unite

La Cina e le Nazioni Unite

La Cina e le Nazioni Unite - 23 novembre 1971

Il 23 novembre ricorre un anniversario importante che riguarda la Cina e le Nazioni Unite. Un anniversario che vede l’entrata della RPC nelle Nazioni Unite e segna la riapertura di questa al mondo esterno. Il 23 novembre 1971 Huang Hua partecipa in rappresentanza della Cina alla sua prima riunione del Consiglio di Sicurezza.

La Cina entra alle Nazioni Unite: cosa cambia nel 1971

Per oltre venti anni – dal 1949, anno di fondazione della RPC, al 1971 – la rappresentanza della Cina alle Nazioni Unite rimane una delle questioni più controverse della Guerra Fredda; una questione spinosa che si intreccia con i tanti avvenimenti che caratterizzano la sfera internazionale in quel periodo. Il seggio cinese è occupato dal governo nazionalista di Taipei, mentre la Cina popolare di Mao ne resta fuori. Si tratta però di una situazione paradossale: l’esclusione del paese più popoloso del mondo è inconciliabile con i principi che sottendono la costituzione stessa dell’ONU.

Il 1971 è un anno di svolta per la politica estera cinese. Quell’anno, dopo un viaggio segreto dell’americano Henry Kissinger a Pechino per incontrare Zhou Enlai, gli USA riconoscono la RPC, disconoscendo la Repubblica di Cina a Taiwan. Per effetto domino, altri Stati procedono al riconoscimento formale della RPC così che il 23 novembre 1971 Pechino prende possesso del Seggio all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sino ad allora detenuto da Taipei.

Il ruolo della Cina nelle Nazioni Unite oggi

La Cina oggigiorno sta affermando maggiormente il proprio ruolo nelle istituzioni internazionali esistenti, tra queste le Nazioni Unite rappresentano una delle principali. La RPC è infatti il secondo maggior contribuente al budget complessivo delle Nazioni Unite, dopo gli USA, e vanta diversi funzionari ai vertici di alcune sue agenzie.

In particolare, la Cina è prima tra i membri del Consiglio di sicurezza ONU per truppe impiegate in attività di peacekeeping – principalmente dislocate nel continente africano – ed è il loro secondo finanziatore, sempre dopo gli USA. Secondo dati ufficiali questi sono i principali 10 contribuenti alle operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite nel 2019:

  1. USA (27,89%)
  2. Repubblica Popolare Cinese (15,21%)
  3. Giappone (8,56%)
  4. Germania (6,09%)
  5. Regno Unito (5,79%)
  6. Francia (5,61%)
  7. Italia (3,30%)
  8. Russia (3,04%)
  9. Canada (2,73%)
  10. Repubblica di Corea (2,26%)

Questo crescente impegno a sostegno delle azioni delle Nazioni Unite, dal peacekeeping alla lotta al cambiamento climatico, contribuisce a rilanciare l’influenza diplomatica della Cina così come la sua immagine di attore cardine dell’ordine internazionale. Ciò è vero soprattutto se si tiene in considerazione che l’attivismo di Pechino è antitetico rispetto alle mosse degli USA, che negli ultimi anni stanno progressivamente riducendo i fondi a supporto non solo delle missioni di pace ma delle varie organizzazioni internazionali.

La più capillare presenza cinese all’interno delle organizzazioni internazionali esistenti viaggia di pari passo con la promozione di enti nuovi a guida cinese. Questa azione di supporto richiede a Pechino uno sforzo diplomatico minore rispetto alla costituzione di piattaforme di dialogo internazionali cinesi. Tuttavia, nel lungo periodo lo sviluppo di piattaforme quali la Belt and Road Initiative (BRI) e l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) rivestirà un’importanza chiave per la politica estera della RPC.



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