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La moderna torre di Babele di un’interprete e traduttrice

La moderna torre di Babele di un’interprete e traduttrice

Sabrina Sbaccanti, giovane interprete e traduttrice vive la sua vita tra vagabondaggi, glossari e moderne torri di Babele digitali. Appassionata del suo lavoro, Sabrina è anche un’attenta osservatrice della Cina e delle complesse dinamiche geopolitiche.

Quattro chiacchiere e un caffè (a distanza e digitale!) insieme a Sabrina Sbaccanti. Giovane interprete e traduttrice, Sabrina è da sempre innamorata delle lingue e affascinata dal loro potere. Vive la sua vita tra vagabondaggi, glossari e moderne torri di Babele consapevole della dinamicità del suo lavoro. Un lavoro che come lei felicemente dichiara la sfida e non l’annoia mai!

Ciao Sabrina! Vorrei iniziare questa nostra chiacchierata parlando brevemente della situazione attuale. La pandemia ha sicuramente colpito anche il vostro settore. Come sta reagendo il mondo degli interpreti e traduttori?

Posso raccontarti sicuramente la mia esperienza. All’inizio c’è stato un momento di confusione generalizzata, nessuno sapeva bene come reagire al primissimo lockdown. Non si capiva se fosse una situazione temporanea o se fosse invece un presagio di un cambiamento che sarebbe rimasto ancora a lungo. L’ultimo lavoro in presenza l’ho fatto a Malta a fine febbraio 2020; mentre quando hanno annunciato la chiusura della Lombardia ero a Roma, sempre per lavoro, e non sapendo se mi avrebbero fatto rientrare mi sono affrettata a tornare con il treno delle 5 di domenica mattina.

Dopodiché è cominciato il fuggi-fuggi dei clienti. Con sgomento, mi sono vista cancellare evento dopo evento! Parlando con svariati colleghi, poi, ho sentito che la situazione era bene o male la stessa per tutti. Nei mesi successivi le cose hanno lentamente ripreso, specialmente a partire dall’autunno, ma sempre migrando tutto online per quanto possibile. I grossi eventi e le fiere sono stati spostati all’anno successivo (e quest’anno di nuovo); mentre gli eventi che anche normalmente avrebbero avuto un numero inferiore di partecipanti si sono comunque fatti online.

Non c’è dubbio che l’attuale emergenza abbia spinto tantissimi settori ad adottare nuove tecnologie e metodologie. Ho letto molto del Remote Simultaneous Interpreting (RSI). Puoi spiegarci in breve cos’è? È una buona alternativa? Secondo te riuscirà ad imporsi anche in un futuro mondo post-pandemico?

L’interpretazione da remoto consiste fondamentalmente nello sfruttare le piattaforme tecnologiche di comunicazione – da quelle più generiche come Zoom ad altre studiate esattamente per il lavoro di interpretazione, specialmente simultanea – per fare ciò che prima si faceva in presenza. Sicuramente è uno strumento che ha permesso a molti interpreti di continuare a lavorare durante questa epoca storica in cui tutto il mondo ha chiuso (chi più, chi meno). Anche se va detto che molte di queste soluzioni già esistevano e venivano impiegate in altri paesi e mercati con maggior frequenza rispetto alla realtà italiana.

Per gli interpreti non è la soluzione ideale, specialmente per coloro che non hanno molta dimestichezza con la tecnologia. Oltre a dover fare “il nostro lavoro”, dobbiamo anche gestire tutti gli aspetti tecnici (connessione, cuffie, microfono, gestione della piattaforma, comunicazione con la/il compagna/o di cabina). Questo è chiaramente uno stress aggiuntivo. In generale il consenso fra le colleghe e i colleghi è che, come tipo di carico cognitivo, la modalità remota sia molto più stressante. Dopo la mia prima simultanea da remoto, durata circa un paio d’ore, ricordo di aver tolto le cuffie e di essermi sentita drenata come dopo un convegno da otto ore in presenza.

Per la simultanea poi non c’è il problema di tenere la webcam accesa, mentre magari per incontri in cui si utilizza la tecnica della consecutiva o del liaison interpreting sì. Quindi c’è anche bisogno di trovare un ambiente con sfondo il più neutro possibile, con illuminazione adeguata (e possibilmente frontale). In più – questa è la regola d’oro per tutti gli incarichi svolti da remoto – silenzioso. E questo, come sappiamo, non è sempre possibile.

Mi vengono in mente le colleghe e i colleghi che non hanno una stanza da destinare a studio a casa; oppure coloro che hanno figli piccoli in DAD; o magari chi ha un animale domestico di cui prendersi cura. Banalmente, anche il corriere o il postino che citofonano. Insomma, se l’idea è quella di ricreare il più possibile le condizioni di lavoro in una cabina insonorizzata o in un ambiente abbastanza silenzioso, la realtà dei fatti ha dimostrato che spesso ciò non è agevole o addirittura sempre possibile.

Peraltro, molte/i colleghe/i hanno dovuto investire tempo e denaro sia nella formazione – per imparare a usare le piattaforme di cui sopra – che in materiale, come le cuffie USB o un microfono USB (standard richiesti da moltissime piattaforme e committenti) o anche un cavo Ethernet, per esempio. Insomma, non è tutto rose e fiori, ma come tutti ci siamo dovuti adattare e cerchiamo di fare il meglio che si può fare date le condizioni.

Non voglio dirne solo peste e corna, ci mancherebbe. Se penso a quanto tempo in più ho, non dovendomi spostare per raggiungere il luogo dell’evento, quasi non mi sembra vero. Penso che in futuro questa modalità di interpretazione non sparirà del tutto, ma che sicuramente diventerà minoritaria; specialmente dopo quasi un anno e mezzo di semi-confinamento abbiamo voglia e bisogno di aggregazione, e tanti eventi e fiere non sono proprio trasponibili online.

Sabrina interprete e traduttrice
La nostra Sabrina nel suo “habitat naturale”, settembre 2020
Parlaci un po’ di te, del tuo percorso accademico per diventare interprete e traduttrice e di come hai mosso i tuoi primi passi in questa professione.

Come dico sempre, sono una nomade poliglotta con 13 traslochi all’attivo. Sono figlia di militare, quindi ho vissuto in moltissimi posti – in Italia e all’estero – e sono diventata un’esperta nell’arte del ripartire da zero e dell’arrangiarmi. Dopo le superiori in Portogallo, Paese che amo e che mi ha dato tantissimo, sono approdata all’Università degli Studi Roma Tre a ben 18 anni e tre giorni. Lì ho intrapreso lo studio del cinese, continuando ad approfondire quello dell’inglese e parzialmente del portoghese. Linguistica, storia, letteratura – insomma, non mi sono fatta mancare niente, ma sentivo di non essere pronta per il mercato del lavoro. Ho proseguito con la magistrale in Interpretariato e Traduzione all’UNINT (Università degli Studi Internazionali di Roma), dove peraltro attualmente insegno interpretazione inglese <> portoghese.

Il primo incarico vero è arrivato a maggio 2016, un B2B cinese <> italiano, dove sono stata letteralmente folgorata e ho capito che questa era la mia strada. Da lì, piano piano, sono arrivati altri incarichi di interpretariato e traduzione. Pensa che pochi giorni dopo la laurea avevo una consegna mastodontica e ho dovuto un po’ rimandare i festeggiamenti proprio per questo! Dopodiché mi sono trasferita in Lombardia, in un paesino al crocevia fra Milano e Bergamo, e ho cominciato a creare la mia rete anche qui. Da un fortunato incontro all’aeroporto di Manchester è nata una collaborazione in cabina che dura tutt’ora e che mi ha aperto molte strade.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro da interprete e traduttrice?

La dualità e la dinamicità. Mi spiego meglio. Dualità perché, specialmente quando traduco, posso davvero fare un lavoro di fino e dedicare tanto tempo ad approfondire ogni singolo termine, il suo contesto d’uso e le sue accezioni. Studio tanto, per lavoro, e questo è sicuramente uno degli aspetti che mi ha portato a scegliere questo percorso professionale. Al contrario, quando interpreto è tutto veloce, devi essere pronta/o, non c’è tempo di fare ricerche sul dizionario; l’adrenalina è tanta e a me piace tantissimo. È questo che intendo per dinamicità: sia il lato proprio della performance di interpretazione, che il fatto che non sai mai su cosa ti troverai a lavorare domani. Al momento sto giusto studiando per un incarico sull’aerodinamica degli incendi boschivi. Insomma, non mi annoio mai e non ho una vera e propria routine, il che fa sì che annoiarsi sia molto difficile in questo settore.

L’atto dell’interpretazione è soltanto la punta dell’iceberg. Sotto la superficie c’è sempre un grande sforzo, grande capacità di concentrazione e ansia, suppongo. Come ti prepari ad un incontro? Come riesci a gestire “emozioni negative” come ansia da prestazione, timidezza o paura di sbagliare e di non capire?

Hai pienamente ragione, l’atto di interpretare è solamente il culmine di un processo che dura anni di formazione tecnico-linguistica. E prima di ogni incarico individuale, di ore e ore di studio della materia specifica. Spesso purtroppo molti organizzatori o oratori non considerano il fatto che inviarci le slide o qualsiasi tipo di materiale contribuisce a una resa più accurata – e di conseguenza più fruibile per chi ci ascolta. In mancanza quindi di questi materiali ricerco chi parlerà, cosa ha fatto e se ha pubblicato qualcosa, se ci sono altri video da cui posso sentirne l’eloquio e fare l’orecchio al modo di parlare.

Poi parte il famigerato studio matto e disperatissimo del tema specifico. Una volta che ho “fissato” i concetti a livello enciclopedico procedo alla creazione di un glossario bilingue con relative spiegazioni, fonti e note d’uso. Come dicevo prima, fare l’interprete vuol dire studiare tanto, e a me studiare è sempre piaciuto.

E qui mi ricollego alla seconda domanda. Per me studiare e prepararmi al meglio delle mie possibilità (e di quelle che mi offrono o meno gli organizzatori degli eventi) è esattamente un modo di tenere sotto controllo l’ansia da prestazione e la paura di sbagliare. Un po’ è carattere, un po’ è pratica ed esperienza, ma confesso che prima di ogni incarico mi sento sempre un po’ in ansia. Le prime volte, poi, non ti dico! Stomaco attorcigliato, palpitazioni, mani sudate e tremanti. Col tempo si impara a gestire anche questo, ma non è facile e non è nelle corde di tutti. Io per prima preferisco lavorare dietro le quinte della cabina rispetto invece a fare una consecutiva sotto le luci della ribalta.

Quindi tanto studio e l’esperienza sicuramente aiutano molto, poi a me aiuta parecchio anche staccare completamente qualche ora prima del lavoro. O se non posso farlo qualche ora prima, almeno mezza giornata prima. Devo decomprimere, spesso facendo attività fisica o dedicandomi ad attività manuali come cucinare, riordinare e fare le pulizie. Ho notato che a me serve proprio staccare la spina del lavoro per poi tornare, a mente fresca, a ripassare e a dare il meglio.

Ti sono mai capitate delle sessioni particolarmente difficili o stimolanti?

Come tanti colleghi, potrei scriverci un libro! Per amor di brevità, racconterò soltanto la volta in cui, a novembre del 2019, mi sono trovata a lavorare con una formidabile équipe di interpreti a un audit farmaceutico a un’azienda italiana parte di un gruppo straniero. Quest’ultimo dettaglio è rilevante; se durante la giornata i lavori si svolgevano in italiano e cinese, durante la sessione di feedback del pomeriggio invece ci siamo trovati a lavorare da inglese e cinese e viceversa poiché i manager della controllante non parlavano italiano.

Per quell’incarico non ci è stato fornito alcun materiale specifico. Ho studiato come un’ossessa per circa tre settimane, rifiutando altri incarichi nel mentre. E comunque il materiale indicativo fornito dall’agenzia non è servito a molto quando mi sono trovata a dover tradurre il funzionamento dei macchinari industriali per la produzione delle capsule in gel e della catena di assemblaggio degli scatoloni di questi prodotti. Ho avuto la fortuna di trovare una cliente molto carina e comprensiva e di essere affiancata da colleghe e colleghi bravissime/i e pronte/i a giocare di squadra. Ma ricordo ancora la fatica enorme di quei giorni e di quanto avremmo potuto lavorare meglio se l’azienda oggetto di audit ci avesse inviato in anticipo le presentazioni e i materiali che abbiamo poi visionato durante l’incarico, durato otto giorni lavorativi.

Cosa significa per te comunicare?

Anche qui potrei scrivere un libro! Per me comunicare è far passare un messaggio esattamente come intendo farlo passare, con tutte le sue nuance e implicazioni. Un gioco sottile di significanti e significati insomma, da calibrare efficacemente in base a chi ci stiamo rivolgendo. Che detto così può sembrare il più banale dei cliché, lo so, ma ben più illustri menti hanno parlato molto meglio ed esaustivamente di me di questo tema. Quando lavoro come interprete, per me non c’è soddisfazione maggiore del sentire qualcuno che fra il pubblico fa delle domande pertinenti e sensate in base a ciò che io ho appena interpretato.

Non solo italiano, inglese e portoghese. Una delle tua lingue di lavoro è il cinese. Da dove nasce questo tuo interesse per il cinese e la Cina?

Per dirla tutta, un po’ per caso. Il cinese mi ha conquistato lentamente, un po’ come la goccia che scava la roccia. Quando mi sono trovata a dover scegliere l’università, ricordo che volevo fare tutt’altro (storia!) ma che, giustamente, i miei genitori mi suggerirono di scegliere qualcosa che mi riuscisse bene, che mi piacesse e che mi potesse assicurare un lavoro in futuro. Il compromesso naturale furono quindi le lingue. All’epoca parlavo inglese, portoghese, francese e spagnolo. Avevo una mezza idea di provare il tedesco, lingua che mi è sempre piaciuta, ma poi ho deciso di frequentare qualche lezione sparsa di arabo, russo e cinese su suggerimento di mio papà. Ho scelto il cinese perché mi interessava più di tutte e perché mi sembrava una sfida non da poco, e a me le sfide sono sempre piaciute.

Chiaramente poi ho abbandonato ogni velleità di tedesco e, purtroppo, anche il mio francese e spagnolo sono lentamente decaduti. Ho iniziato a studiare cinese nell’ottobre del 2011 e sono stata in Cina per la prima volta nel febbraio del 2015. Un’esperienza abbagliante nell’aprirmi gli occhi e soprattutto nel migliorare il mio (allora piuttosto traballante) cinese, che mi ha portato a capire e a ripensare tante cose nella mia vita accademica, professionale e personale.

Sabrina Interprete e traduttrice
Scalando la Grande Muraglia, maggio 2015
Qual è secondo te il miglior approccio per studiare cinese? Puoi suggerire qualche podcast o risorsa utile per migliorare e tenere allenate le proprie competenze in cinese, in particolar modo ascolto e comprensione?

Lacrime e sangue. No, scherzo (forse…)! Il 听力 (o capacità di ascolto e comprensione orale) è sicuramente il tallone d’Achille di moltissimi sinologi, nonché una delle competenze che più risente delle variazioni diamesiche, diatopiche e diastratiche della lingua stessa. Podcast, video su YouTube/Youku, serie TV, film. Io consiglio sempre di partire stando bassi (non esercitarti per il tuo ego, esercitati per le tue capacità e per migliorarle!) e scegliendo un tema che appassioni e già abbastanza conosciuto. Questo aiuta molto. Anche se non capiremo esattamente ogni singola parola al primo ascolto, infatti, grazie alle nostre conoscenze enciclopediche sul tema saremo in grado di colmare quel “vuoto” e di capire il senso generale della frase.

Ottime sono le risorse come Mandarin Corner e FluentU, per citarne un paio disponibili gratuitamente. Di natura meno strettamente linguistica e più culturale consiglio il podcast italiano Risciò. Lo stesso vale per i libri: se c’è un libro che mi piace particolarmente, lo rileggo anche nelle mie varie lingue di lavoro (non tutte e non sempre, chiaramente). In questo senso, anche se sono una die-hard fan del cartaceo, il Kindle o chi per esso è una mano santa; basta selezionare una parola che non so per trovarmela sul dizionario di turno, senza dover necessariamente interrompere la lettura, prendere in mano un altro dispositivo, segnarmela da qualche parte e poi tornare a leggere. Anche perché il Kindle, per esempio, offre la possibilità di salvare le parole che abbiamo cercato e di studiarle poi successivamente tramite flashcard.

Per diventare un buon interprete o traduttore/traduttrice ovviamente non basta conoscere soltanto due o più lingue straniere. Bisogna conoscere e studiare la cultura di quel Paese, impegnarsi a comprenderne le ragioni profonde. Questo tema è particolarmente cruciale (e complesso) con Paesi, e culture, molto distanti dalla nostra. Pensiamo alla Cina. Hai iniziato a studiare cinese nel 2011. In questi 10 anni com’è cambiata per te la Cina? E dove pensi sarà la Cina tra una decina d’anni?

Provo a rispondere facendo la doverosa premessa che non sono un’esperta di geopolitica, ambito che studio il più possibile quando posso proprio perché è di estrema rilevanza. Se mi avessi fatto questa domanda un anno e mezzo fa avrei esitato molto di meno nel risponderti. Dalla pandemia da Covid-19 la realtà mondiale e la nostra vita sono state completamente sconvolte. Quindi non mi azzardo a fare previsioni a così lungo termine, ma provo ad accennare qualche tendenza che vedo come possibile sviluppo futuro.

Per una panoramica della Cina negli ultimi 10 anni (e non solo), consiglio vivamente la lettura di Nella testa del Dragone. Identità e ambizioni della nuova Cina di Giada Messetti, ottimo sia per gli addetti ai lavori che per i neofiti. Non ho purtroppo avuto ancora modo di tornare in Cina dal 2015, ma chi ci è stato mi racconta di un paese molto diverso da quello che ho conosciuto io. Tanto per far un esempio, il contante è praticamente sparito ed è tutto più digitale e digitalizzato, nel bene e nel male.

Ritengo che il progetto di espansione-non-strettamente-geografica cinese continuerà sia in Africa che nell’Asia centrale, anche se dubito che il soft power cinese riuscirà a contrapporsi efficacemente a quello nordamericano-occidentale, nonostante gli sforzi erculei della Cina in questo senso. L’espansione-più-strettamente-geografica invece è apparente; basta pensare al cavallo di Troia che sono i prestiti nell’ambito Belt and Road e al recentissimo (nel momento in cui scrivo) caso del Montenegro. Ecco, in questo episodio vedo chiaramente la lenta, silenziosa e inesorabile avanzata della Cina e un’Europa che non sa se rispondere a spada tratta o mantenersi nelle grazie di un partner commerciale imprescindibile.

Per quanto attiene alla Cina, prevedo grossi problemi demografici e ambientali, derivanti della disastrosa politica del figlio unico – che ha portato a un numero inverecondo di infanticidi di bambine cinesi – e dalla crescente “minaccia” dell’India, altro Paese la cui ascesa economica sta cominciando a preoccupare il Vecchio Continente. Da non dimenticare, inoltre, tre fattori che raramente danno un buon risultato se combinati: la diminuzione della natalità; il conseguente aumento dell’aspettativa di vita della popolazione cinese; e la fortissima presenza di aziende statali e parastatali scarsamente produttive e che sostanzialmente vivono di sussidi.

Se la guerra commerciale inaugurata da Trump ha insegnato qualcosa al mondo è che “moglie, buoi e semiconduttori (aggiungo io) dei Paesi tuoi”. Quindi penso che la Cina investirà moltissimo nella produzione di componentistica elettronico-informatica di alto livello, così come nelle infrastrutture tecnologiche e nello sviluppo sostenibile in generale. Come un po’ in tutto il mondo, penso che le biotecnologie e l’ambito sanitario acquisteranno nuova centralità, specialmente in virtù della popolazione senescente e delle crescenti aspettative di vita.

Senza scomodare il “sogno cinese” e gli obiettivi per il 2049, quindi, vedo una Cina che sta investendo sempre di più nel creare un mercato domestico florido e in grado di spingere l’economia dall’interno, senza dover necessariamente dipendere dal commercio internazionale per la crescita. Vedremo l’esperimento cinese come andrà.

谢谢你!



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