Lo sviluppo e le contraddizioni dell’economia cinese
Le contraddizioni dell’economia cinese sono un’eredità del periodo di modernizzazione iniziato alla fine degli anni ’70. Queste minano la tanto bramata armonia sociale di Xi, perciò il governo centrale tenta a ridurle tramite politiche mirate. Parliamo di tre grandi disuguaglianze interne con cui l’Impero Celeste deve fare i conti: il divario socio-economico tra residenti urbani e popolazione fluttuante; la disparità tra zone costiere e zone interne; il disequilibrio tra città e campagne.
Sommario
- Cenni storici sullo sviluppo economico cinese
- Lavoratori migranti rurali
- Disparità tra zone costiere e zone interne
- Disequilibri fra campagna e città
- Conclusioni
Cenni storici sullo sviluppo economico cinese
Il ritorno di Deng Xiaoping al potere nel 1978 segnò l’inizio della riforma che avrebbe modificato radicalmente l’assetto economico e sociale della Cina. La sua principale politica interna riguardò il programma delle Quattro Modernizzazioni (四个现代化 sì gè xiàndàihuà). Esse riguardavano l’ambito industriale, agricolo, scientifico-tecnologico e della difesa. Grazie a questa politica, la crescita economica nazionale è stata pressoché inarrestabile.
Deng Xiaoping rivoluzionò l’economia cinese, riducendone il controllo burocratico e cercando di affiancare un’economia di libero mercato a quella pianificata. La liberalizzazione dei prezzi, ad esempio, derivò dalla riforma sistemica dell’economia urbana. In campo agricolo la decollettivizzazione delle campagne conobbe un rapido successo. I contadini infatti furono introdotti al concetto di responsabilità individuale per la coltivazione della terra e iniziarono ad avere più libertà nel gestirla e vendere i loro prodotti sul mercato.
Un approccio simile fu successivamente adottato in molte altre industrie. Deng Xiaoping era consapevole che l’economia cinese per prosperare necessitava di privatizzazione e di rafforzare il ruolo degli imprenditori.
Di pari passo con la riforma interna, il governo si pose l’obiettivo di espandere le relazioni internazionali tramite una progressiva apertura della Cina nei confronti degli altri Paesi. Oltre all’incremento degli scambi commerciali, vennero istituite quattro Zone economiche speciali nelle province del Guandong e del Fujian. A Shenzhen, Zhuhai, Shantou e Xiamen venne così sperimentata un’economia di libero mercato. Nel 1984, il sistema venne esteso a 14 città costiere e ad una nuova zona economica del basso Yangzi, di cui Shanghai costituiva il centro.
Dal 1979 al 1999, grazie alla politica della “porta aperta”, in Cina giunsero circa un terzo degli investimenti esteri su scala mondiale. Le imprese estere investivano in Cina attirate da: le potenzialità del mercato interno; il bassissimo costo del lavoro; e le politiche di attrazione messe in campo dalle autorità cinesi.
XXI secolo
L’ingresso della Cina nel novero delle grandi potenze mondiali fece seguito e fu simbolicamente esaltato da due eventi che si sono succeduti nel primo decennio del’XXI secolo. Il primo, l’ingresso della RPC nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel 2001; il secondo, le Olimpiadi di Pechino del 2008.
Oggi la Cina è la seconda economia mondiale e si è trasformata in un Paese che punta all’innovazione per diventare una potenza tecnologica e che crea progetti infrastrutturali globali per la commercializzazione dei propri prodotti.
Tuttavia, la rapida crescita economica inaugurata dal periodo di Deng ha ampliato le disuguaglianze sociali. Sono tre le principali contraddizioni dell’economia cinese che il governo dovrà ridurre o eliminare per il raggiungimento del “risorgimento della nazione”. La prima è introdotta da un quesito: in concreto, che cosa ha reso possibile il miracolo cinese? O forse sarebbe meglio dire chi…
Lavoratori migranti rurali
Per rispondere alla domanda precedente, bisogna fare un passo indietro e tornare al 1992. In quell’anno Deng Xiaoping compì un “viaggio a Sud” per rilanciare “le riforme e l’apertura” inceppate dalle proteste di piazza Tienanmen nel 1989. Successivamente, le città cominciarono a fiorire economicamente, il mercato del lavoro si espanse e la domanda di lavoratori crebbe in modo esponenziale.
La domanda fu colmata dai lavoratori migranti che non solo contribuirono al processo di urbanizzazione della società cinese, ma soprattutto resero possibile lo sviluppo economico. Dall’inizio degli anni ’80, circa 150 milioni di lavoratori migranti si sono spostati dalle zone rurali verso le aree urbane in cerca di occupazione. Questa migrazione di massa, una delle più imponenti nella storia umana, ha inserito nel tessuto sociale urbano una sorta di “classe inferiore” ai cittadini residenti.
La grande contraddizione sta nel fatto che ancora oggi, nonostante il loro contributo per la realizzazione del miracolo cinese, non hanno pieni diritti sociali, e spesso sono sfruttati e sottopagati.
Il principale ostacolo che i migranti devono affrontare nelle città è legato al loro hukou che li lega al luogo in cui sono stati censiti nel sistema di registrazione delle famiglie. Nonostante essi vivano da anni in città, devono mantenere la residenza nei villaggi dove sono nati. Questo li limita nell’usufruire di un sistema minimo di assistenza sociale, venendo esclusi dai principali servizi urbani, come assistenza sanitaria e sistema di welfare. Inoltre, l’hukou è ereditato dai figli dei migranti che non possedendo lo status urbano, spesso vengono rifiutati dalle scuole pubbliche ripiegando su istituti privati non riconosciuti e dalle risorse scarse.
Oggi si parla in totale di oltre 290 milioni di donne e uomini, impiegati prevalentemente nelle industrie della manifattura e costruzioni. Il salario mensile mediamente percepito è di circa 3.721 yuan (ca. 500 euro).
Disparità tra zone costiere e zone interne
Tra le contraddizioni dell’economia cinese, è anche il divario economico tra le province costiere (a Est e Sud-Est) e quelle interne (al centro e a Ovest). Le regioni costiere beneficiano di un clima ed una posizione geografica strategicamente più favorevoli allo sviluppo umano e industriale.
Questa disparità aveva solide basi già molto evidenti durante l’età imperiale cinese e il problema di superarla si era già posto nell’epoca Qing (1644 – 1911). Nel ‘900 la disuguaglianza tra le zone si è ampliata: in un primo momento durante la rivoluzione culturale e poi negli anni ’80 durante le riforme di Deng Xiaoping. In questo periodo si pensò inizialmente di concentrare gli investimenti per lo sviluppo delle regioni più avvantaggiate – quelle costiere – per utilizzarle poi come modello per le altre. Tuttavia, il divario economico rimase estremamente ampio.
Le zone interne rispetto a quelle costiere quindi sono state storicamente quelle meno sviluppate – fondate su un modello agricolo, infrastrutture quasi inesistenti, un basso livello di istruzione e redditi al minimo.
Piano di sviluppo dell’occidente
Tuttavia, per evitare che la Cina continuasse la sua corsa a due velocità, all’inizio degli anni 2000, il governo sviluppò il “Piano di sviluppo dell’Occidente”, o “Go-West Strategy” ( 西部大开发 Xībù Dàkāifā). Tale politica venne avviata per sviluppare le regioni a Ovest: le 6 province del Gansu, Guizhou, Qinghai, Shaanxi, Sichuan e Yunnan; le 5 regioni autonome del Guangxi, Mongolia Interna, Ningxia, Tibet e Xinjiang; e la municipalità di Chongqing. Queste insieme ricoprono oltre il 70% della superficie del paese.
La strategia di sviluppo, estremamente attiva ancora oggi, si basa su:
– costruzione di nuove infrastrutture;
– attrazione degli investimenti esteri in settori come hi-tech, veicoli di nuova energia, risparmio energetico ed edilizia sostenibile;
– istruzione e valorizzazione dei giovani talenti;
– maggiore impegno nella protezione ambientale;
Due esempi di maggior attrattività nel West cinese sono rappresentati dalla municipalità di Chongqing e da Chengdu. Il cluster formato dalle due città è stato definito “Silicon Valley dell’ovest della Cina”. Chongqing è uno dei principali centri hardware della Cina, mentre Chengdu sembra aver puntato sull’industria dei software e sulle start up. I fattori chiave? Investire nell’istruzione e puntare sempre più a una produzione qualitativa piuttosto che quantitativa.
Disequilibri fra campagna e città
Un’altra tra le contraddizioni dell’economia cinese riguarda la disparità tra campagna e città. La divergenza socioeconomica tra Cina rurale e urbana rappresenta la tematica principale delle disuguaglianze ed è necessario sottolineare come dal 1978 la forbice tra queste due aree si sia allargata. Le aree rurali non si sono mosse allo stesso passo alle aree urbane, che si sono sviluppate molto velocemente e nelle quali i governi locali hanno puntato ad un aumento dei salari e delle condizioni di vita per attrarre i lavoratori. Ciò è risultato in una situazione di povertà estrema nelle zone rurali.
Attraverso una serie di riforme a partire da inizio XXI secolo, il reddito medio nazionale è cresciuto, sia nelle città che nelle campagne innalzando la qualità generale di vita. Tuttavia, bisogna tenere in conto anche della diversa velocità con cui si è realizzato tale aumento, molto più rapidamente nelle città e un po’ più lentamente nelle campagne.
Il piano di Xi
Nel 2018, il governo cinese ha lanciato il piano di “vitalizzazione delle campagne”, considerato un “compito storico” ai fini della costruzione di una “società moderatamente prospera”.
Il progetto prevede tre fasi:
1) Entro il 2020, nessun cinese dovrebbe vivere sotto la soglia di povertà e la produttività agricola dovrebbe aumentare sostanzialmente.
2) Entro il 2034, il piano stabilisce che gli abitanti di città e campagne dovrebbe avere uguale accesso ai servizi pubblici di base e il raggiungimento di una maggiore integrazione tra i due ambienti.
3) Entro il 2050, il settore agricolo dovrebbe essere robusto e gli agricoltori dovrebbero essere “benestanti”.
La prima fase, secondo il governo cinese, è già conclusa. È di questi giorni infatti la notizia del completo sradicamento della povertà assoluta in Cina, obiettivo fissato ufficialmente nel 2015. Per povertà estrema oggi s’intende un reddito annuo inferiore ai 350 dollari annui. Secondo le statistiche nazionali la popolazione povera è diminuita da 99 milioni nel 2012 a 5.5 milioni alla fine del 2019.
L’idea è quella di ridurre il gap tra città e campagna facendo investimenti mirati nei villaggi e migliorando il tenore di vita dei contadini. L’obiettivo finale è quello di trasformare l’agricoltura di piccola scala in una vasta agricoltura industriale per produrre il necessario a sfamare il crescente ceto medio e per rendere la Cina sempre più autonoma dal punto di vista alimentare.
Conclusioni
La corsa allo sviluppo ha portato la Cina a diventare la seconda economia mondiale in pochi decenni, generando però importanti contraddizioni nel tessuto socio-economico cinese. Tra le contraddizioni dell’economia cinese troviamo il divario socio-economico tra residenti urbani e popolazione fluttuante; la disparità tra zone costiere e zone interne; il disequilibrio tra città e campagne.
Le contraddizioni dell’economia cinese sono riducibili? Le esigenze dello sviluppo economico cinese prevedono urbanizzazione, efficienza produttiva, politiche del lavoro, lotta alla povertà. Pechino, per raggiungere la bramata armonia sociale e diventare un vero esempio per il resto del mondo deve riuscire a incastrare tutto.
Guan Zhong (720 e il 645 a.C.), “quando i granai sono pieni, la gente conosce la proprietà e la moderazione”. Tradotto: la società è stabile solo se può condurre una vita prospera.
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Fonti:
Appassionata di lingue straniere, in particolare del cinese mandarino. Neolaureata in Lingue, Economie e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa Mediterranea curriculum Language and Management to China presso l’università Ca’ Foscari di Venezia.
Una risposta.
buon sangue non mente!!!
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