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Proprietà intellettuale in Cina: tra leggenda e realtà

Proprietà intellettuale in Cina: tra leggenda e realtà

Ferrero e proprietà intellettuale in cina

La tutela della proprietà intellettuale in Cina è sicuramente una delle prime preoccupazioni di quanti intendono avvicinarsi a questo mercato. Che tu voglia vendere il tuo prodotto online o delocalizzare la produzione dovrai anzitutto accertarti che il tuo prodotto sia tutelato secondo le normative locali per evitare, o per lo meno limitare, le possibilità di essere soggetto a pratiche quali copycat o trademark hijacking.

SOMMARIO:

Proprietà intellettuale nella Cina imperiale

È risaputo che lo sviluppo del diritto di proprietà intellettuale in Cina, per come lo conosciamo noi, non sia avvenuto sino a tempi più recenti. Questa potrebbe sembrare una contraddizione se si considera che la Cina degli Imperatori è rinomata per il suo grado di avanzamento tecnologico e scientifico – basti pensare alle “Quattro grandi invenzioni” i.e. carta, polvere da sparo, stampa e bussola. In realtà non lo è e la spiegazione ci viene fornita nuovamente dalla cultura tradizionale cinese.

Nella Cina imperiale la tutela degli interessi del singolo era vista come strumentale al “grande interesse pubblico” (大公 da gong); il quale a sua volta coincideva con quello della dinastia regnante. Il diritto d’autore così come il segno identificativo dei prodotti volevano essere protetti, ma non potevano essere reclamati da alcun individuo. Così si tutelava la diffusione dei classici e si marchiavano le diverse opere di ceramica e porcellana.

Questo atteggiamento è a sua volta riflesso dell’atteggiamento del Confucianesimo rispetto al passato. Solo imparando dal passato e imitando ciò che è stato fatto da altri prima di noi è possibile conseguire lo sviluppo morale. Perciò il frutto dell’impegno individuale non poteva essere considerato “privato”, ma orientato al bene pubblico e delle generazioni future. Innovazioni tecnologiche e invenzioni erano viste come eredità comune del popolo, quindi protette come tali.

Questa “cultura della copia” promossa dal Confucianesimo, inoltre, è alla base di alcune teorie che mirano a spiegare una riscontrata poca sensibilità cinese verso le pratiche di contraffazione. In realtà, in passato, solo ciò che era degno andava imitato, perciò se il pensiero confuciano giustificasse questa pratica diffusa si dovrebbe altrettanto essere lusingati di essere copiati.

L’apporto del periodo Nazionalista e Maoista

I primi cenni alla protezione della proprietà intellettuale in Cina appaiono con la comparsa irruenta delle potenze Occidentali nel 1900. Da quel momento, i riformatori dei Qing, ultima dinastia regnante, cercano di introdurre un primo sistema di tutela dell’IP su modello europeo. Così nel 1910 viene promulgata la “Legge sul diritto di autore della Dinastia Qing”, modellata sulla Convenzione di Berna (1886).

Il governo nazionalista continua nella stessa direzione. Nel 1923 escono i primi regolamenti per la registrazione e la gestione dei marchi; nel 1944 viene approvata la prima Legge sul brevetto cinese. Queste norme vengono emendate più volte nel periodo repubblicano per poi essere etichettate come “leggi borghesi” e spazzate via nel periodo comunista (1949).

Il vuoto normativo così creato lascia spazio a soluzioni di stampo sovietico. Si ritorna quindi alla concezione di invenzioni e innovazioni come frutto e patrimonio della società, non del singolo. Inizialmente, negli anni 1950, era possibile ottenere il rilascio di: un “certificato di invenzione” che dava diritto a un premio in denaro e cedeva allo Stato il diritto di diffondere l’invenzione; o un brevetto che attribuiva al proprietario il controllo dei diritti legati all’invenzione.

Nei primi anni 1960 invece il brevetto viene abolito e il certificato d’invenzione sostituito dal pagamento di una modesta somma fissa secondo il “Regolamento sui premi per le invenzioni” del 1963. I diritti erano da considerarsi di esclusiva proprietà dello Stato e le norme promulgate in questo periodo avevano il solo scopo di sostenere la nuova economia di piano.

Panoramica dello sviluppo della IPP dal 1978

Le riforme di apertura di Deng Xiaoping segnano anche l’inizio della costruzione del sistema di protezione della proprietà intellettuale in vigore in Cina oggi. Infatti, diventa essenziale rendere il business environment cinese adatto all’attrazione di investimenti e tecnologia esteri, il che non poteva prescindere dallo sviluppo di un sistema di tutela conforme alle norme internazionali.

Questo sforzo ha inizio con l’emanazione della prima “Legge sulle joint-venture” nel 1979 e continua con l’entrata della Cina nella World Intellectual Property Organization (WIPO) nel 1980. Da questo momento la leadership cinese procede a ratificare i principali trattati multilaterali in materia di proprietà intellettuale; a partire dalla Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale nel 1984 ad arrivare alla firma dell’Accordo TRIPS (Trade-related Aspects of Intellectual Property Rights) del 1994 in vista del suo ingresso nel WTO nel (2001).

Parallelamente, la Cina continua nello sforzo di dotarsi di un proprio sistema promulgando: la “Legge sui Marchi” nel 1982; la “Legge sui Brevetti” nel 1984; la “Legge sul diritto di autore” nel 1990. Queste leggi subiscono poi diversi emendamenti e vengono arricchite da svariati Regolamenti attuativi e Interpretazioni della Corte Suprema del Popolo in risposta alle pressioni della comunità internazionale, da un lato, e alle necessità di tutelare il Made in China, dall’altro. Nell’arco di pochi decenni la Cina si è quindi dotata di un sistema di protezione della proprietà intellettuale moderno, pareggiando lo sforzo normativo che in molti Paesi occidentali ha richiesto due o tre secoli.

Caso studio dall’Italia: Ferrero Rocher e l’importanza di tutelare i brand

Nel marzo 2008 fa scalpore la notizia che la Corte Suprema cinese emette una sentenza nel caso Ferrero VS Montresor che sancisce la tutela del Ferrero Rocher da imitazioni nel mercato cinese. L’azienda cioccolatiera italiana, che aveva registrato il marchio del proprio famoso cioccolatino in Cina per la prima volta nel 1986, inizia la propria lotta con il competitor cinese fin dal 1990.

Inizialmente, la Ferrero commette l’errore di registrare il Ferrero Rocher solo con questo nominativo, dimenticando il suo nome cinese 金莎 Jinsha. Raggiunto il successo tra i consumatori cinesi in pochi anni, l’esclusività del Rocher viene messa in pericolo nel 1990 quando la Montresor richiede la registrazione del marchio combinato del nome 金莎 Jinsha (non legalmente associato ai Ferrero Rocher) e della figura “ovale con bordo di fiori” in riferimento alla loro pralina Trésor Doré. Questo tentativo viene bloccato dalla Commissione di Revisione ed Aggiudicazione dell’Ufficio Marchi che non approva il rilascio del marchio. Tuttavia la società cinese resta titolare del marchio cinese 金莎 Jinsha.

Nel 2002 un nuovo episodio riaccende la disputa e i cioccolatini registrati con il nome Jinsha – Trésor Doré iniziano ad essere distribuiti. Tuttavia, la Seconda Corte Intermedia del Popolo di Tianjin, presso cui la Ferrero cita in causa la Montresor, si pronuncia a favore dell’azienda cinese. Insoddisfatta, la Ferrero si rivolge alla Corte Intermediaria di Pechino. Questa nel 2007 riconosce la distinguibilità del marchio Ferrero Rocher 3D ponendo le basi per la decisione della Corte Suprema di bloccare l’utilizzo del tipico packaging e la distribuzione delle praline cinesi (con annesso un risarcimento di 700.000 RMB). La vittoria della Ferrero testimonia i grandi progressi della magistratura cinese in difesa della proprietà intellettuale di aziende straniere, nonché l’importanza di rispettare e sfruttare a proprio vantaggio la normativa locale per tutelare il proprio brand.

Come tutelarsi

Per evitare, o quanto meno limitare, la possibilità che il tuo prodotto sia soggetto a pratiche di concorrenza sleale quali copycat o trademark hijacking è fondamentale monitorare lo sviluppo della normativa locale, in continuo cambiamento ancora oggi. Qualche consiglio pratico:

  • È anzitutto consigliabile la registrazione del marchio o segno distintivo prima di entrare nel mercato cinese; va infatti ricordato che il processo di registrazione segue il principio first to file.
  • È fondamentale ricordarsi di rinnovare la registrazione alla sua scadenza; il marchio ad esempio ha una validità massima di dieci anni con l’onere a metterlo in uso entro tre anni dalla registrazione.
  • È bene registrare il marchio o segno distintivo non solo in lettere latine, ma anche in caratteri cinesi; attenzione qui ad evitare doppi sensi o nomi offensivi optando per soluzioni in cinese che prendano in conto solo l’aspetto fonetico senza tenere in considerazione il significato.

Sull’argomento, abbiamo intervistato Riccardo Benussi Deputy Regional Manager e East China Business Advisory Team Lead per Dezan Shira and Associate in due puntate del nostro podcast #15MinutiDiCina. Dopo aver fatto una panoramica generale della storia dell’IP in Cina e dei concetti fondamentali da tenere a mente in materia di IP in Cina, Riccardo ci ha anche dato degli utili consigli pratici per ridurre al minimo le possibilità di trademark hijacking. Trovi qui la prima parte e qui la seconda parte.



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Fonti:

  • Alford, William, “To Steal a Book is an elegant offence. Intellectual Property Law in Chinese Civilization”, Stanford University Press, 1995, p. 65 e ss.
  • Novaretti, Simona, “La protezione della proprietà intellettuale in Cina: l’evoluzione e le prospettive di sviluppo”, 2013, Università di Torino
  • Travaglio, Giulia, “Il marchio in Cina Caso Ferrero – Montresor”, 2015, Università Ca’ Foscari Venezia
  • World Intellectual Property Organization WIPO
  • Yang, Deli, “IP and Doing Business in China”, World Patent Information 25, 2003, pp. 131–142
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Una risposta.

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