Hong Kong e Coronavirus: suppress & lift
Hong Kong e i suoi 7,5 milioni di abitanti sono stati tra i primi a dover fronteggiare la minaccia del coronavirus. Tra paure e memoria, l’ex colonia britannica cerca di trovare il suo nuovo equilibrio.
SOMMARIO:
Hong Kong, una delle aree più densamente popolate a livello internazionale, registra secondo gli ultimi dati un totale di 1056 contagiati (e 4 decessi) su una popolazione complessiva di circa 7,5 milioni di abitanti. La regione amministrativa speciale cinese è stata uno dei primi territori a dover fronteggiare il virus, attraversando almeno due ondate di infezioni.
La prima ondata
Hong Kong, infatti, nonostante gli stretti rapporti con la Cina e la vicinanza geografica al Guangdong, la seconda provincia cinese più colpita (1490 casi in data 31 marzo), è riuscita a reggere con notevole successo la prima onda d’urto dello sciame virale.
La logica che ha guidato non solo le autorità locali ma anche, e soprattutto, il buon senso dei cittadini è stata il frutto della terribile esperienza della SARS del 2003 che fece registrare 1755 contagiati e ben 299 decessi (il 38% dei decessi a livello mondiale). Come sottolineato dal professor Jeremy Lim, co-direttore del Leadership Institute for Global Health Transformation (LIGHT) della National University di Singapore: “in un certo modo guardiamo alla SARS come ad una prova generale […] l’esperienza fu cruda e molto, molto viscerale. E su questi presupposti sono stati costruiti sistemi migliori.”
La preparazione mentale dei cittadini li ha spinti sin dall’annuncio del primo contagio del 23 gennaio a non perdere tempo nell’indossare mascherine protettive. Le autorità locali sono successivamente intervenute chiudendo scuole, stringendo le norme sul distanziamento sociale e permettendo a tutti di lavorare da casa, senza però iniziare drastiche misure di lockdown.
Anche le frontiere con la Cina continentale sono state chiuse, sebbene parzialmente, causando a inizio febbraio uno sciopero di 7000 operatori sanitari che accusavano il governo di dipendere troppo da Pechino e di curarsi troppo della politica e meno della sanità pubblica.
Ad ogni modo, i risultati non sono tardati ad arrivare, e non soltanto sul fronte della lotta al coronavirus. Tra i risultati ottenuti anche il calo dell’influenza stagionale. Come evidenziato dal professor Ho Pak-leung dell’Università di Hong Kong, le misure hanno anche ridotto la durata dell’influenza stagionale da 98,7 giorni a 34 giorni.
Risultati confermati successivamente anche da uno studio pubblicato sulla prestigiosa Lancet che ha evidenziato come le misure di contenimento e di distanziamento abbiano portato ad una riduzione del 44% della trasmissione dell’influenza.
La seconda ondata
Le misure governative, unite alla volontà e senso civico degli abitanti, hanno reso Hong Kong un modello internazionale per la lotta al coronavirus. Le misure messe in campo sono state enormemente accettate dalla popolazione. Come rivela un sondaggio dello scorso marzo, l’85% degli intervistati aveva dichiarato di evitare luoghi affollati, mentre ben il 99% dichiarava di indossare mascherine fuori casa. Per usare le parole del professor Ben Cowling dell’Università di Hong Kong: “la popolazione è incredibilmente ben informata sulla sanità pubblica e ha volontariamente cambiato le proprie abitudini per completare le misure di distanziamento messe in atto dal governo.”
Ma la lenta stabilizzazione dei contagi, unita alla rapida espansione della pandemia in Europa e negli Stati Uniti, ha spinto molti expat a far ritorno in patria. L’esodo, se così si può chiamare, e il leggero ammorbidimento delle restrizioni hanno portato a un aumento dei contagi da coronavirus ad Hong Kong. Sono infatti saliti da 149 (15 marzo) ad oltre 1000 a metà aprile.
Numeri certamente molto inferiori a quello visti in Occidente, ma che hanno spinto le autorità a introdurre nuove limitazioni. Tra queste: il divieto di ingresso nel paese ai non-residenti; un bracciale elettronico per monitorare gli spostamenti, e le possibili infrazioni, di tutti coloro che si trovano in quarantena. La pena per chi viola tali provvedimenti prevede una multa fino a 25.000 HKD (2.984 EUR) e fino a 6 mesi di prigione.
Le politiche di contenimento del virus sono continuate con: il divieto di vendita di alcolici nei locali pubblici per disincentivare la vita notturna; la chiusura di palestre e centri sportivi; la chiusura di tutti quei bar e ristoranti che non riuscivano a garantire un adeguato distanziamento fisico tra i clienti.
Suppress & Lift
Ad oggi, Hong Kong sembra essere capace di tenere (nuovamente) la situazione sotto controllo. Dopo un aumento di contagi dei mesi di marzo e aprile, la città sembra aver fermato il numero di contagi a 1056 e 4 decessi.
Dal 4 maggio le autorità hanno iniziato ad allentare la maglia delle restrizioni permettendo la riapertura di molti bar e ristoranti, insieme a palestre e centri sportivi. Saranno inoltre concessi assembramenti fino ad un massimo di 8 persone, mentre per le scuole si dovrà aspettare il 27 maggio.
Ma la parola d’ordine continua ad essere cautela. Il timore di una nuova ondata è forte e il governo locale continua con la sua linea dura sulle misure di ingresso nel territorio. Al momento, infatti, può entrare solo chi è residente e solo dopo essersi sottoposto ad un test SARS-CoV-2 prima di uscire dall’aeroporto.
Il virus dell’economia
La pandemia preoccupa anche le autorità economiche dell’ex colonia britannica. Nel 2019 l’economia locale aveva già registrato una contrazione del 1,2 % rispetto l’anno precedente a causa delle violente manifestazioni antigovernative e dello scontro commerciale tra Washington e Pechino. Il virus potrebbe, dunque, esacerbare le difficoltà economiche.
A preoccupare è anche il tasso di disoccupazione che, a febbraio, ha raggiunto il 3,7%, il livello più alto da nove anni a questa parte. Il dato segna un aumento dello 0,3% rispetto le stime di gennaio ed è al di sopra delle previsioni degli analisti.
Ad esserne maggiormente colpiti il settore dei consumi e del turismo che toccano tassi di disoccupazione del 6,1% e 2,5%, rispettivamente. Secondo l’Hong Kong Tourism Board, nel mese di febbraio, Hong Kong ha registrato un calo del 96% dei visitatori, un trend che quasi certamente continuerà anche nel mese di marzo.
Sullo sfondo ancora una volta il ricordo della SARS che costò ad Hong Kong un tasso di disoccupazione che arrivò a toccare il picchio di 8,5% nel giugno 2003, il più alto mai raggiunto. Per arginare il problema ed evitare un ripetersi della storia, Hong Kong ha preparato un piano economico di oltre 120 miliardi HKD per contrastare le ripercussioni economiche del coronavirus. Tra le misure spicca la decisione di stanziare 10.000 HKD (1.185 EUR) ad ogni cittadino residente maggiorenne.
Sul fronte della politica monetaria, la Hong Kong Monetary Authority, seguendo l’esempio della Federal Reserve, ha annunciato il 16 marzo una riduzione dei tassi di interesse di 64 punti base portandoli allo 0,86%, la seconda volta in un solo mese.
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Fonti:
Rocco Forgione, classe 1992. Da sempre amante dei viaggi, della lettura e dell’Asia. Ho conseguito una laurea triennale in Lingue e Mediazione Linguistico-Culturale a Roma e poi una doppia laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università di Torino e la Zhejiang University. Sempre pronto a raccogliere la prossima sfida!
Una risposta.
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