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Il ruolo della Cina nel WTO e la guerra commerciale

Il ruolo della Cina nel WTO e la guerra commerciale

Cina e WTO

L’11 dicembre la Cina celebrerà il diciannovesimo anniversario dall’ingresso nel WTO. Un ventennio intenso, o poco meno, che ha visto Pechino impegnata tra la via della seta, una guerra commerciale e l’inasprimento dei rapporti con gli Stati Uniti. Che cosa è cambiato dal suo ingresso ad oggi? Ma soprattutto, il suo ruolo nel WTO ha assunto un peso più rilevante?  

SOMMARIO:

Diciannove anni dopo l’ingresso nel WTO  

Il WTO (World Trade Organisation) nasce nel 1995 sulla base di diverse motivazioni tra cui, per esempio, promuovere lo sviluppo economico e commerciale e raggiungere degli accordi di mutuo vantaggio tra i suoi membri. Il processo per accedere al WTO non è una pratica semplice, richiedendo ai paesi che intendono associarsi l’applicazione di profonde riforme economiche.

Infatti, tutti coloro che sono entrati a far parte del WTO dopo il 1995 (PRC inclusa), sono stati sottoposti alla regolamentazione prevista dall’Articolo XII dell’Accordo di Marrakesh. Il documento in questione richiedeva ai nuovi membri impegni più estensivi in ambito economico rispetto a coloro che aderirono al WTO prima del 1995 e attraverso il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade).

Nel caso specifico della Cina, i negoziati iniziarono nel 1986 e si conclusero nel 2001. Durante questo periodo di contrattazione, i membri del WTO chiesero a Pechino di mettere in atto delle riforme significative con lo scopo di ridurre l’intervento del governo nell’economia interna. Alcune di queste misure riguardavano l’applicazione di una riduzione delle tariffe sui beni, permettendo di rimuovere i sussidi all’export, di ridurre l’influenza dello Stato nelle operazioni commerciali delle state-owned enterprises e implementare le riforme per aumentare la trasparenza. 

Benefici per l’economia cinese dall’ingresso nel WTO

Prima del 1978 la Cina si presentava come un paese socialista con un’economia pianificata e largamente isolato. Dopo due anni di scontri all’interno del partito comunista tra il 1976 e il 1978, si afferma una nuova guida per il Paese, Deng Xiaoping, che avrebbe traghettato la Cina nell’era del post-maoismo. Un periodo caratterizzato da innovazioni nell’area scientifica, militare, industriale e agricola, ma anche da un rinnovato spirito di apertura che portò alla nascita delle prime zone economiche speciali (ZES).

La partecipazione della Cina al WTO avrebbe permesso non solo di concretizzare un nuovo passo verso l’uscita da quella condizione di isolamento precedente, ma anche di avvicinarsi a nuovi potenziali partner commerciali e migliorare i rapporti con quelli presenti.

A livello internazionale l’ingresso della Cina nel WTO fu ampiamente sostenuto dall’ex presidente americano Bill Clinton. Le speranze degli Stati Uniti si basavano su alcuni punti: cambiare le politiche economiche cinesi con il pretesto dell’adesione al WTO; accelerare il processo di transizione da economia pianificata ad economia di mercato; trarre maggiore profitto per le imprese statunitensi. La realtà fu ben differente dalle aspettative.

L’ingresso della Cina nel WTO ebbe un impatto parzialmente negativo sull’economia americana poiché da una parte i consumatori potevano acquistare beni importati dalla Cina a prezzi più bassi, ma allo stesso tempo, dal 1999 al 2001, le industrie manifatturiere persero circa 6 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti.

Per quanto riguarda la Cina, invece, l’impatto fu decisamente positivo. Dal 1999 quattrocento milioni di cinesi sono usciti da una condizione di estrema povertà; l’economia cinese è diventata la seconda più grande economia mondiale; e ha quintuplicato le esportazioni dal 2001 diventando nel 2009 la nazione esportatrice più grande al mondo.

L’influenza esercitata dalla Cina nel WTO

A differenza di altre organizzazioni internazionali come l’ONU e l’FMI (Fondo Monetario Internazionale), all’interno del WTO il peso e il potere esercitati dai suoi membri si manifesta indirettamente. Un esempio concreto: vincere le controversie commerciali. Si tratta di procedimenti costosi che richiedono una notevole conoscenza dei dettagli tecnici e legali e un’esperienza consolidata in materia.

Dunque, è ragionevole intendere che più controversie uno Stato riesce a vincere, maggiore sarà la sua influenza all’interno dell’organizzazione. Proprio in quest’ottica spesso si sono inserite le varie controversie decorse tra i membri del WTO.

Tra il 2002 e il 2019, la Cina è stata coinvolta in 65 dispute; rendendola il terzo membro più attivo all’interno del DSS (Dispute Settelment System) dietro gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Proprio da questi ultimi è stata accusata in molteplici occasioni di mettere in atto politiche economiche poco trasparenti, le quali avrebbero portato ad una certa opacità e ad un conseguente dumping sui beni come l’alluminio, l’acciaio e i pannelli solari nel mercato mondiale. Per questa ragione, la Cina è stata a lungo bersaglio di investigazioni e azioni volte all’antidumping.

Nonostante la Cina abbia vinto solo quattro dispute contro le dieci degli Stati Uniti, è stata in grado di ottenere delle vittorie significative nei loro confronti. A novembre 2019 il WTO ha autorizzato Pechino ad imporre delle tariffe pari a $3.6 miliardi di dollari sui beni statunitensi. Così facendo ha messo fine ad una disputa iniziata nel 2013, quando la Cina contestò la decisione degli Stati Uniti di imporre delle azioni antidumping su oltre 40 prodotti cinesi.

La questione dello status developing country contestata dagli Stati Uniti

Un altro elemento fonte di scontri all’interno del WTO è lo status di developing country ovvero “paese in via di sviluppo”. Sia la Cina sia gli altri due terzi dei membri del WTO attraverso questa etichetta riescono ad ottenere dei trattamenti differenti e speciali. Si intende, per esempio, finestre estese per implementare gli impegni assunti in sede del WTO, oppure ricevere assistenza con la gestione delle controversie.

Tuttavia, diversi membri hanno respinto il fatto che la Cina si sia affibbiata l’etichetta di paese in via di sviluppo. Nel febbraio del 2019 gli Stati Uniti hanno proposto delle riforme nel WTO volte a creare dei requisiti di eleggibilità più stringenti per questo status.

Per affrontare questo attacco, la Cina ha collaborato con l’India e altri sette paesi membri in via di sviluppo; ha rifiutato la proposta degli Stati Uniti sostenendo la pratica secondo cui sono i membri stessi del WTO che autodeterminano il loro status.

Dallo status di developing country alle tensioni con gli Stati Uniti

Nel maggio del 2019, la Cina sottopone la sua proposta criticando indirettamente gli Stati Uniti. Infatti, sosteneva che questi ultimi stessero cercando di ostacolare la nomina dei nuovi giudici dell’organo di appello del WTO. Il timore della Cina sembrava ampiamente giustificato dal fatto che a dicembre 2019 sarebbe scaduto il mandato di due giudici su tre dell’organo d’appello.

Ora, stando alle regole del WTO, l’organo d’appello avrebbe potuto deliberare su eventuali dispute solo con un quorum di tre giudici. Perciò la Cina temeva che, dato l’atteggiamento ostile degli USA, si sarebbe potuto concretizzare il rischio di non trovare dei sostituti in tempo. Il timore diventò una certezza quando a dicembre del 2019, al termine del mandato dei due giudici, non vennero nominati i sostituti.

Dunque, si presentò una situazione singolare in cui l’organo d’appello si reggeva su un solo giudice (e non su tre come prevedeva il regolamento) e veniva limitato nelle sue funzioni lasciando di fatto la risoluzione delle dispute in sospeso.

Il decorso di tale vicenda si aggiunge ad un contesto caratterizzato già da forti tensioni tra Stati Uniti e Cina. Queste ultime alimentate dalla cementazione in Europa della Via della Seta e dalla recente guerra commerciale tra i due attori. Proprio la trade war ha offerto a Pechino la possibilità di ergersi come difensore del commercio globale e dare maggiore peso alla sua presenza nel WTO.



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2 risposte

  1. […] ad un processo di apertura economica e culturale. Così, dopo l’entrata ufficiale della Cina nella WTO nel 2001, l’Italia diventa, insieme ad altri Paesi europei, uno dei primi a firmare accordi […]

  2. […] da due eventi che si sono succeduti nel primo decennio del’XXI secolo. Il primo, l’ingresso della RPC nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel 2001; il secondo, le Olimpiadi di Pechino del […]

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